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Matteo Renzi: "Gli ordini all'Europa li diamo noi. Non sono nelle mani di Berlusconi. Il voto? Mi converrebbe"

di Giulio Bucchi domenica 10 agosto 2014

3' di lettura

"Non sono nelle mani di Berlusconi e non prendo ordini dall'Europa". A colloquio con Federico Geremicca de La Stampa, tra un coro e un abbraccio degli scout di San Rossore, il premier Matteo Renzi mette per un attimo da parte i sorrisi e sfodera la faccia da duro, anche senza il chiodo alla Fonzie. Al quotidiano torinese prova a sciogliere i tre nodi che stanno complicando non poco l'operato del governo: i diktat Ue su conti e rigore da un lato, il rapporto non facile (da far digerire alla sinistra, soprattutto) con il Cavaliere e le pastoie di burocrazia e classe dirigente italiane. "Gli ordini all'Europa li diamo noi" - Il presidente Bce Mario Draghi ha messo in guardia Renzi: senza riforme, non si esce dalla recessione. "Questa è anche la linea mia e di Padoan - ribatte il premier italiano -. Ma se qualcuno vuole interpretarla e fare intendere che l'Europa deve dire all'Italia quel che deve fare allora non ci siamo". Il rapporto, sostiene, è da ribaltare: "Non è l'Europa che deve dire a noi cosa fare. Il Pd ha vinto le elezioni, è il partito che ha preso più voti in Europa, io e il governo siamo usciti più forti dal test di maggio e non abbiamo bisogno di spinte da Bruxelles. Sono gli Stati, anzi, a dover indicare alla Commissione via e ricette per venire fuori dalle secche". Gli ordini, in teoria, dovremmo darli noi. Peccato che la ricetta fin qui proposta dal governo sul piano economico non ci abbia rafforzato, anzi: come possiamo fare la voce grossa se non riusciamo nemmeno a rialzarci? "La drammatizzazione del Pil è qualcosa che rispetto ma non condivido - spiega ancora Renzi -. Non è che l'Italia sia rientrata in recessione: non ne è mai uscita". Di risultati, sostiene il premier, il governo ne ha già incassati, dalla riforma Madia della Pubblica amministrazione ai "104mila nuovi occupati" (sulla carta) della riforma Poletti sul lavoro.  "Maggioranza più solida" - Renzi sfoggia ottimismo anche sulla salute della propria maggioranza ("La composizione forse non è esaltante, ma è la più solida della Seconda Repubblica"), esalta la riforma del Senato ("Era la madre di tutte le battaglie, o si faceva adesso o non si faceva più") e spiega ancora una volta perché si sia affidato a Silvio Berlusconi: "E' una questione di metodo. Le riforme vanno fatte con le opposizioni, con i nemici, piuttosto che con gli amici...". In ogni caso, è l'avvertimento a Forza Italia ma soprattutto ai dissidenti del Pd, "sono l'ultimo ad avere paura del voto. Personalmente mi converrebbe, perché porterei tante persone a me vicine in Parlamento. Ma quella avviata non è una battaglia che devono vincere i renziani: la deve vincere il Paese". E da sconfiggere non sarebbero Berlusconi, Grillo o i Mineo di turno. Ma la classe dirigente, "professori, analisti, editorialisti, accademici". Altro che i "ragazzini" renziani, secondo Matteo il guaio sono i soloni che "da vent'anni ci raccontano che la politica non sa fare nulla, nascondendo dietro questa incontestabile verità le loro inadeguatezze". Nel mirino ci finiscono gli intellettuali che hanno firmato l'appello del Fatto quotidiano contro la riforma del Senato, "senza nemmeno leggerla, la riforma". Dopo i gufi, sono loro i nuovi nemici di Renzi.

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