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Coronavirus, Giuseppe Conte sfrutta la paura dei parlamentari per far passare i decreti

Stefano Re
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Viene prima la salute o la dignità? Che parlamento è quello che si rifiuta di discutere e migliorare i decreti scritti in fretta e male dal governo per affrontare l' epidemia? Sono i grandi dilemmi di cui dibattono in questi giorni senatori e deputati. Da un lato, la paura: alcuni di loro si sono già presi il virus, chi può se ne sta barricato in casa, magari a centinaia di chilometri dalla capitale. Dall' altro, il desiderio di rispondere all' appello nel momento solenne (l' Italia chiamò) e la voglia di dimostrare a chi li ha votati che l' indennità da 9.975 euro lordi al mese, i 3.503 euro di diaria e le altre voci della busta paga hanno un senso.
Medici, infermiere, cassiere e fattorini, con emolumenti molto più bassi, stanno facendo il loro dovere, rischiando: perché gli eletti del popolo no? In mezzo, un governo e una maggioranza che vogliono usare la logica dell' emergenza e approfittare della situazione per fare approvare così come sono, cioè pessimi, alcuni tra i provvedimenti più importanti del dopoguerra.


Così non stupisce che in prima fila tra chi chiede di aprire le porte del parlamento ed esaminare quei decreti come si deve - cioè senza scorciatoie, articolo per articolo, presentando emendamenti e tutto il resto - ci siano gli esponenti dell' opposizione. Matteo Salvini invoca un Parlamento nel pieno delle funzioni e chiede ai presidenti delle Camere di convocare le assemblee «il più presto possibile». La Lega, infatti, intende cambiare tante norme del decreto: «È impensabile far pagare le tasse venerdì, è impensabile che 600 euro per i lavoratori autonomi, precari, interinali, siano sufficienti, è impensabile che tanto personale scolastico sia costretto ad andare a scuola ed è inaccettabile lo "svuota-carceri"».
Salvini vuole anche che Giuseppe Conte si presenti a riferire in parlamento, perché «la situazione economica sta sfuggendo di mano», e non esclude di andare sino da Sergio Mattarella a chiedere che le regole della democrazia parlamentare non siano uccise dal Covid-19. Il presidente del consiglio, infatti, continua a fuggire, e ieri ha cancellato pure l' apparizione che avrebbe dovuto fare il 25 marzo nell' aula del Senato.
Determinata a stanare il governo è anche Giorgia Meloni: «In un momento di emergenza nazionale i primi a lavorare devono essere i parlamentari». Stessa richiesta viene da Forza Italia. Gaetano Quagliariello, senatore di Idea, componente del centrodestra, mette in guardia i colleghi desiderosi d' imboscarsi: «Se resteranno a casa perderanno la loro reputazione e faranno perdere la reputazione al parlamento e alla democrazia».
Non tutti, però, la pensano così.
Su suggerimento di Roberto Fico, la maggioranza vuole affidare la discussione e il voto sui decreti d' emergenza, destinati ad essere accorpati in un unico maxi-provvedimento, ad una semplice commissione. Tutto sarebbe fatto al volo, da pochissimi parlamentari.
Sarebbe una soluzione molto comoda per il governo, e infatti il centrodestra, durante la litigiosissima riunione dei capigruppo del Senato che si è tenuta ieri, si è opposto. Il calendario adesso dice che il testo sarà prima esaminato dalle commissioni e quindi, l' 8 aprile, sbarcherà nell' aula di palazzo Madama, ma da qui ad allora non sono escluse sorprese.
E mentre tutti i riflettori sono puntati sull' epidemia, la faida per le poltrone prosegue. Ieri Vito Crimi, capo politico del M5S, ha espulso dal gruppo grillino il deputato Raffaele Trano, colpevole di essersi fatto eleggere presidente della commissione Finanze grazie ai voti delle opposizioni, soffiando così il posto al compagno di movimento Nicola Grimaldi.
Commenta Gianluigi Paragone, ormai ex pentastellato: «In un momento del genere, in cui il Paese fa la conta dei morti causati dal coronavirus, i kapò dei Cinque stelle non hanno altro a cui pensare?».

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