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Mes, Di Battista e Fico contrari. Retroscena: "Battaglia di principio, l'ultima", così cadrà Conte

Elisa Calessi
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Per il Movimento Cinquestelle è una battaglia di principio. Forse l' ultima. Prova ne è che ieri, dopo che mercoledì il premier Giuseppe Conte aveva cercato di siglare una tregua, rinviando la decisione a dopo il vertice Ue del 23 aprile, sono intervenuti due pezzi da novanta del Movimento, per quanto, ora, molto distanti per ruolo: Roberto Fico, presidente della Camera, e Alessandro Dibattista. «Voglio tranquillizzare tutti», ha detto ieri Fico in una intervista all' agenzia Vista, «il Mes che abbiamo conosciuto per la gestione delle crisi greca non verrà mai usato in questo modo dal nostro Paese». E ha difeso la scelta del premier di non far seguire, alla sua informativa, un voto, rimandando il pronunciamento del Parlamento a dopo il vertice Ue. «Non sono intervenuto perché non c' è niente fuori dalla legge.

 

 

 

La capigruppo con un orientamento assolutamente maggioritario ha deciso di mettere in calendario per martedì l' informativa urgente del presidente del Consiglio». Poco dopo sono arrivate anche le parole di Dibattista, raccolte da Dritto e Rovescio, programma in onda su Retequattro: «Il Mes», ha detto Dibba, «mi auguro che esca fuori dal tavolo. Quando il presidente del Consiglio, che per me ha fatto benissimo a rispondere a Salvini e Meloni, dice: "L' Italia non attiverà il Mes", io ci credo». Come dire: se Conte cambia idea, il traditore è lui. «Il problema però, non è ora, il problema è tra un anno e mezzo».
Una linea del Piave, insomma. Anche se il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, che rappresenta l' anima governista del Movimento, sembra concedere una labile apertura: «Aspettiamo prima di vedere cosa sarà deciso al Consiglio europeo». Forse consapevole, come tanti, che dietro il Mes si sta giocando un' altra partita. Quella della permanenza di Conte al suo posto. Ormai non è un mistero che trasversalmente si spinge per un cambio alla guida dell' esecutivo.
Lo ripete ai suoi, da settimane, Matteo Renzi. Lo pensa tutta l' opposizione. Ma anche nel Pd cominciano ad affiorare dubbi. «Fra due settimane», diceva ieri un alto dirigente della maggioranza, «il livello di rabbia tra gli italiani sarà altissimo. O c' è una guida in grado di gestire la situazione, o il Paese va a carte e quarantotto». Sottinteso: Conte non in grado.
E non è fuori dal mondo ipotizzare che la scelta di Berlusconi di schierarsi a favore dell' utilizzo del Mes, a costo di rompere l' unità del centrodestra, nasca, anche, da un ragionamento di questo tipo: "stressare" Conte, proponendosi per il dopo.
Forza Italia, infatti, ha ancora una discreta forza parlamentare, specie al Senato.
Intanto il Pd, anche ieri, ha insistito sulla necessità di non rinunciare a priori ai 37 miliardi del Fondo salva-Stati. «È evidente», ha detto Dario Franceschini, «che se fosse un Mes senza condizioni non sarebbe più il Mes di cui si è parlato in questi mesi e in questi settimane». Dalla Lega a Fdi. «L' Ue», scrivono in una nota Raffaele Fitto e Carlo Fidanza, «si è mossa tardi e male. La nostra posizione è chiara: sì al fondo per la ricostruzione del debito comune, sì ai finanziamenti Bei, no al Mes.
Lo abbiamo conosciuto e non ci fidiamo».

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