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M5s verso la scissione, tra Beppe Grillo e Davide Casaleggio è guerra insanabile: "Frattura profonda"

Fausto Carioti
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Prima che un movimento, o un partito, o una setta, i Cinque Stelle sono oggi un formicaio impazzito. La dimensione della tragedia è chiara a tutti loro: due parlamentari su tre, ossia quasi duecento tra senatori e deputati del movimento, sono destinati a restare a casa nella prossima legislatura. Quindi, così non si può andare avanti. Da qui in poi, le analisi divergono. Chi punta alla salvezza individuale, cercando asilo politico (leggesi «seggio sicuro») altrove. Ma il probabile taglio dei parlamentari non aiuta. Chi crede che l'alleanza col Pd debba andare avanti, anche se ciò significa trasformarsi in una costola della sinistra. E chi rimpiange i bei tempi dell'alleanza con la Lega e non disdegnerebbe apparentamenti col centrodestra, dove c'è profumo di vittoria. Pure le strade, ormai, sono pronte a separarsi. La scissione tante volte evocata ha trovato l'incidente di Sarajevo che potrebbe scatenarla. Davide Casaleggio non ha alcuna intenzione di mollare la presa sul M5S: al contrario, intende serrare la morsa. Vuole farlo attraverso una votazione sulla piattaforma online Rousseau, con cui la base degli iscritti sarebbe chiamata a scegliere tra guida collegiale o capo politico unico. Un suffragio da svolgere magari prima delle Regionali, in quello che sarebbe un vero e proprio blitz.

 

 

MESSAGGI CIFRATI
I parlamentari, in questo modo, verrebbero saltati a piè pari, e la scelta decisiva affidata a un oscuro meccanismo controllato da un uomo del quale, ormai, non si fidano più. Così una trentina di deputati e senatori ieri ha spedito un messaggio per nulla cifrato al figlio di Gianroberto: provaci, e noi ce ne andiamo l'istante dopo. Sono i sintomi del vero male del M5S: la separazione di Beppe Grillo, e tanti capi e capetti pentastellati, da Casaleggio, proprietario della piattaforma digitale. È lungo questa linea che la frattura si fa profonda, e in gioco non ci sono solo la guida politica e il controllo di Rousseau, che secondo i ribelli il ragazzo dovrebbe donare al movimento (convinti come sono che abbia ottenuto già abbastanza soldi e potere, in questa storia). Ma pure l'alleanza col Pd, il complicato rapporto con Giuseppe Conte e la collocazione internazionale del M5S.

I RIBELLI
Ad agitare la fronda sono personaggi come la deputata Dalila Nesci, animatrice della corrente (sì, ci sono anche lì) Parole guerriere. Nel loro manifesto si legge che la forma della «struttura movimentista» è ormai «inadeguata», perché «priva di gerarchie responsabilizzate, di coerenza politica, di radicamento sul territorio...». Chiedono, insomma, di diventare un partito tradizionale, con tanto di segreteria e sede ufficiale a Roma: significherebbe tagliare il cordone ombelicale che li lega a Rousseau e a chi la possiede.

PAROLE GUERRIERE
Si riconoscono in Beppe Grillo («parole guerriere» è un'espressione del comico genovese) e nel suo progetto di rendere definitiva l'alleanza con i democratici. E accusano Vito Crimi di essere troppo debole nei confronti di Casaleggio, alle cui regole non intendono più sottostare. Il senatore Emanuele Dessì da tempo ripete che «il controllo segreto degli iscritti da parte di una persona sola che sta a Milano non è più accettabile». Assicura che «la stragrande maggioranza degli eletti» la pensa allo stesso modo e intanto ha smesso di versare la quota del proprio stipendio all'associazione Rousseau, assieme a molti altri. Alle spalle di questi peones schierati in prima linea, si muovono calibri più grossi come Roberto Fico, Paola Taverna e Stefano Patuanelli.

CONTROMOSSE
Casaleggio ricambia la loro ostilità e anche per questo si era opposto (invano) alla cancellazione del vincolo dei due mandati: i parlamentari novellini possono essere gestiti molto più facilmente di chi ha mangiato la foglia. Dalla propria parte l'erede di Gianroberto ha Alessandro Di Battista, pure lui contrario al matrimonio col Pd e all'appiattimento nei confronti di Conte. Non è un caso che "Dibba" sia l'unico big con un solo mandato alle spalle: difendendo la vecchia regola, Casaleggio intendeva lanciare lui alla guida del movimento. E Luigi Di Maio? Si tiene in mezzo, ma un po' più su, per non lasciarsi coinvolgere. Sogna di essere il deus ex machina che al momento opportuno si presenta in scena e riunisce tutti. Potrebbe pure riuscirci, se l'accozzaglia non deflagra prima. Dovrà ricollocarsi un po', anche dal punto di vista internazionale: tra il lobbismo filocinese di Grillo e la linea atlantica sposata da Casaleggio, lesto a comunicare a Washington la propria contrarietà all'adozione della tecnologia 5G di Pechino, è quest' ultima che ha vinto. Tutti loro tireranno le somme dopo le regionali. Quando, se i sondaggi sono corretti, avranno molte ferite da leccarsi, e la situazione potrebbe essere assai più difficile di quella attuale. 

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