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Michele Emiliano, Filippo Facci: tanto grosso quanto fragile, ora in Puglia può perdere tutto

Filippo Facci
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Non è vero che i nuovi politici «sono tutti uguali» (neanche i vecchi lo erano) anche perché alcuni non sono nuovi manco per niente: però certe tipologie spiccano per diversità archetìpica. In lingua italiana: volete mettere Michele Emiliano rispetto a una Susanna Ceccardi? Però sono entrambi candidati governatori alle Regionali. 

La nostra è una comparazione a caso, e a noi qui interessa parlare di Michele Emiliano, non della Ceccardi: la quale - dovessimo un giorno occuparcene - in ogni caso però non è certo un'intelligente/furbastra/paracula e rotta a tutte le esperienze come Emiliano, ma non è neppure una sottovuoto spinto emerso dal brodo primordiale come un grillino qualsiasi grillino. Emiliano è un caso interessante, e lo è proprio perché incarna vari innesti di personaggi ed esperienze diverse come una sorta di Frankestein - detto simpaticamente, anche perché Frankestein era più smilzo - ma al tempo stesso ha una sua personalità e pure forte, non è un sottoprodotto ambientale. 

 

Si è fatto da solo: ad altri stabilire se sia un merito o un'aggravante. Emiliano è «uno grosso» perché ha un suo peso politico (da stabilire) e ha la perspicacia e il cinismo dell'ex magistrato (che poi non è ex: è ancora magistrato, poi vediamo) ed è intelligente ma come quelli che l'intelligenza non hanno ancora ben deciso come utilizzarla, indirizzarla, verso quale obiettivo investirla. E in questo resta fragile. La nostra è un'impressione, almeno: liquidarlo come uno che cerca il potere semplicemente dove lo trova parrebbe irrispettoso. 

IL GIUDICE
Come magistrato non ha un passato trascurabile, ma lo ricordano in pochi: nel 1988 era con Rosario Livatino ad Agrigento e aveva 28 anni, era uno dei «giudici ragazzini» derisi da Francesco Cossiga. Emiliano «ragazzino» è poco immaginabile, ma allora giocava a basket piuttosto seriamente (arrivò alla serie B) anche se oggi sembra più un rugbysta. Poi tornò nella sua Brindisi e per tutti gli anni '90 si dedicò alla lotta alla Sacra Corona Unita, che esisteva ancora (quella di oggi è un residuo) ed era specializzata in contrabbando di sigarette: Emiliano faceva il duro, un po' come oggi, e diceva «dobbiamo sbattere in galera i contrabbandieri e tenerceli per molti anni, proprio come i mafiosi». Poi divenne procuratore antimafia a Bari e gliene capitarono tante. 

Sorvoliamo, e ricordiamo solo una bagatella che un barese ci ha raccontato, questa: un giorno Emiliano disse in aula «farò un expertise» (un'autenticazione, una perizia) e l'imputato capì «Faro uno strip-tease». Immaginarsi Emiliano in quelle vesti, o svesti. Vabbeh, basta, stringiamo: nel 2003 accetta di fare il sindaco per il centrosinistra e inizia la sua parabola. Inizia, pure, il suo stare nel partito senza stare nel partito, l'antinomia tra il voler essere cagnone sciolto e far parte di un apparato come l'ex Pci. Sarà sempre così, tanto che per essere eletto (anche alla presidenza della Puglia) fonderà sempre liste sue, anche se Emiliano non è, per esempio, un «uomo forte» alla Vincenzo De Luca che ha infinite liste e listarelle che lo sorreggono: Emiliano, nonostante tutto, non è granché «radicato nel territorio» (espressione che basta, non si può più sentire: sembra una cosa di botanica) e ogni volta il suo cercarsi alleanze si rivela un'avventura variabile. 

 

Sicuramente ha sempre avuto la tendenza a volere una cosa senza mollarne un'altra: per anni non ha mai voluto dimettersi da magistrato, mantenendosi in aspettativa (per avere la pensione, tra altre cose) sino al 2018, quando la Corte costituzionale stabilì che i magistrati non potevano avere tessere di partito come Emiliano aveva. Allora lui che fece, lasciò la magistratura? No, annunciò che non avrebbe rinnovato l'iscrizione al Pd, pur restando in zona. In passato aveva accettato la candidatura alla Regione solo a condizione che fosse abrogato l'obbligo di dimettersi imposto ai sindaci, come lui era. Così però ci annoiamo anche a scrivere. Dovremmo parlare degli altri pezzi del Frankestein che, da uomo istituzionale, si fa populista e politico «vicino alla gente» (lui si è appunto definito «populista istituzionale», bell'ossimoro) e anche qui: decidete voi se sia un uomo pieno di risorse oppure uno che non sa quale risorsa scegliere, e allora fa su un casino. 

LO SCERIFFO
Da una parte è rimasto un sindaco sceriffo che sembra quasi di centrodestra: in tema di legalità e sicurezza, un sondaggio del Sole 24 Ore lo piazzò terzo tra i sindaci più amati assieme a De Luca (Salerno) e Flavio Tosi (Verona). Durante una trasmissione con Matteo Salvini giunse a dire che il leghista aveva ragione nell'accusare il centrosinistra di essere morbido con gli occupanti delle case popolari. Emiliano sa oscillare come quei pupazzi dondolanti che si mettono sul cruscotto della macchina: in quarantott' ore passò da «ho appoggiato Renzi, scusatemi» al definitivo «Matteo non ti ricandidare» sino al «Ricandidati, puoi rivincere da segretario». Fu l'unica scissione di quel periodo, il 2017: quella tra Michele ed Emiliano. 

Poi, proseguendo, dovremmo enumerare gli aspetti più colorati dell'Emiliano-Zelig, quello che si diverte a fare un po' il coglione come noi tutti, ogni tanto: quando ad Acquaformosa (Cosenza) si mise a ballare la pizzica e si ruppe il tendine d'Achille; quando si mise a chattare con Frank Underwood (il protagonista della serie tv House of cards) chiedendogli un degno candidato come avversario; quando quel noto genio che è il rapper J-Ax scrisse «Il discorso di Emiliano sta spaccando, grande» ed Emiliano rispose «Bella zio! Sei grande!». Yeah. Everybody. Emiliano, per far dimenticare uno scandaluccio sulle famose cozze pelose (peccato, manca lo spazio per parlarne) propose l'assessorato alla Cultura al regista di Checco Zalone, che rifiutò. Poi però il regista, Gennaro Nunziante, girò un film con Zalone titolato «Quo Vado?». Ecco, appunto, si attende la risposta. Di Michele Emiliano. 

 

 

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