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Attilio Fontana contro Giuseppe Conte: "Chi vìola le leggi di Natale ha ragione"

Lorenzo Mottola
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È ancora lunga, ci spiega Attilio Fontana. La luce in fondo al tunnel è ancora lontana. E solo quando saremo fuori «potremo fare i conti e vedere quanti e quali errori sono stati fatti». Il governatore lombardo per tutta la prima ondata è stato sul banco degli imputati per la gestione della pandemia. «Contro di me hanno superato l'umana decenza», spiega. Ora, però, è lui che lancia accuse al governo, «Adottano provvedimenti folli, non possiamo cambiare regole ogni 3 settimane».

Presidente, da qualche giorno arrivano in redazione lettere scritte da persone che annunciano che violeranno i divieti previsti dal governo per Natale. In particolare, chi abita nei piccoli Comuni non capisce perché sia vietato andare a trovare parenti che abitano a pochi chilometri di distanza.
«Sono d'accordo con loro. Mi auguro che il Parlamento abbia un sussulto e sistemi questa norma, che mi sembra veramente una sciocchezza. Dal punto di vista epidemiologico non ha senso che sia considerato sicuro muoversi per le visite nel proprio Comune e sia definito pericoloso andare a trovare qualcuno che abita nel paese di fianco. Siamo ancora in tempo comunque, basta che ci sia la volontà politica. Ho chiesto al primier Conte di intervenire».

In generale lei ha definito l'ultimo decreto "lunare", cosa contesta in particolare?
«Non mi ha convinto innanzi tutto il metodo. Ci era stato detto che avremmo ricevuto una copia del Dpcm e che poi l'avremmo discussa e invece ci siamo visti recapitare un decreto nel cuore della notte, senza darci la possibilità di discutere. Se ci avessero ascoltato forse avremmo evitato delle storture palesi, come la decisione di vietare la circolazione tra Regioni a partire dal 21 dicembre. Come ho già detto, il rischio è che tutti partano il giorno prima e che si crei quel caos cui abbiamo assistito tra il 7 e l'8 marzo, quando furono istituite le prime zone rosse al Nord».

In effetti già non si trovano più biglietti sui treni per il 20. Lei come avrebbe evitato tutto questo?
«Non bisognava porre un termine per muoversi, perché non è quello il problema. Noi dobbiamo concentrarci sui comportamenti pericolosi: sugli assembramenti, sulla movida, sulla folla sui mezzi pubblici. In poche parole, il punto di riferimento deve essere il sovraffollamento. Se non c'è folla, non c'è problema. Invece condanniamo situazioni innocue e ne ignoriamo altre. Stamattina per esempio sono andato a fare la spesa in un supermercato a Varese. Forse lì bisognerà porre più attenzione, perché lì non c'è più controllo all'ingresso, si formano capannelli di persone. Queste cose vanno evitate».

In altre parole lei i ristoranti a pranzo non li avrebbe mai chiusi.
«Se rispettiamo le regole e si evitano affollamenti direi proprio di no».

Dividere l'Italia in zone rosse e gialle è servito?
«Per servire, serve tutto. È chiaro che se ci costringessero a rimanere in casa con l'esercito alla porta il contagio si ridurrebbe, ma il nostro obiettivo è trovare un equilibrio tra le esigenze economiche e sociali e quelle di contrasto all'epidemia. Nelle riunioni col governo ripeto sempre che non possiamo cambiare le regole ogni 2 o 3 settimane in base alla situazione. Non dobbiamo adeguarci al virus, ma programmare sul lungo periodo e trovare i percorsi giusti e quelli sbagliati».

Il suo nome è comparso in tante inchieste. Ritiene che l'appartenenza politica alla Lega abbia reso più complicati i suoi rapporti con la magistratura?
«Con la magistratura non lo so, con la stampa di sicuro. Poi glielo dico subito: di tutte le vicende giudiziarie in corso ne parleremo quando si chiuderanno le indagini, anche per rispetto del lavoro degli inquirenti».

Da tre mesi in Lombardia non si sente parlare d'altro che del vaccino antinfluenzale. In tanti non sono riusciti a trovarlo. Cosa è successo?
«Sicuramente sono stati fatti degli errori, ma abbiamo cercato di recuperare e in linea di massima ci siamo riusciti. Purtroppo è una situazione difficile per tutto il Paese, perché tutti quelli che fino all'altroieri rifiutavano di vaccinarsi oggi giustamente lo chiedono. E le imprese farmaceutiche non erano attrezzate per affrontare una richiesta così alta. Di conseguenza ci sono stati ritardi in tutta Italia».

Passa le sue giornate a parlare con esperti di virus, secondo lei quanto ci vorrà per uscire definitivamente da questa crisi?
«Bisognerà vedere quando e se riusciremo a completare questa campagna vaccinale contro il Covid, perché sarà necessario coprire almeno il 75% della popolazione. A quel punto la battaglia sarà vinta. Però bisogna capire ancora tante cose. Se sarà un vaccino una tantum o se ci sarà bisogno di richiami periodici. Ci sono tanti aspetti che mi sembra debbano essere chiariti».

Da maggio lei è stato messo sotto scorta. Ci spieghi cosa è successo.
«È il periodo in cui è esplosa la campagna mediatica contro di me e sono comparse scritte minacciose sia sui social network sia sui muri delle città».

Ha mai avuto paura?
«Mi sono sentito più che altro offeso. Perché noi avremo sicuramente commesso degli errori, ma siamo stati anche i primi ad affrontare una emergenza di questo genere».

Ritiene di aver fatto da parafulmine?
«Sicuramente. Io sono convinto che in politica il confronto possa essere duro. Ma non su un tema delicato come questo, non sulla morte della gente, non mistificando la verità. Questi sono i tre aspetti che mi hanno profondamente colpito. Sono stati superati i limiti della decenza umana».

Pensa che la seconda ondata abbia dimostrato che il problema non era l'organizzazione di Regione Lombardia?
«Sì. Ma fin dall'inizio c'è stata tanta malafede. Un esempio: i numeri della provincia di Lodi erano praticamente identici a quelli della confinante provincia di Piacenza. Eppure una zona veniva descritta come il paradiso e l'altra come l'inferno. In realtà il problema non riguarda l'organizzazione territoriale, la prevalenza di strutture private sulle pubbliche e così via. Il virus è più forte di tutte queste cose. Invece hanno cercato di strumentalizzare un dramma che ha colpito la nostra comunità. Tanti hanno contestato la nostra sanità per cercare di mettere le mani su Regione Lombardia. Questa è la cosa più brutta».

Ritiene che alcune cure sperimentali siano state trascurate? Si è parlato di plasma, di idrossiclorochina
«Noi le abbiamo provate tutte, le nostre università e i nostri centri di ricerca hanno dato un grande contributo alla ricerca e ne sono nate proposte che devono ancora completare la fase di sperimentazione».

Un errore che non perdona al governo?
«La gestione iniziale. Quando non siamo stati messi sull'allerta. Quando sono state mandate le mascherine a Wuhan e stava per arrivare qui l'epidemia. Esistevano dei piani epidemici che sono stati secretati, vuol dire che qualcuno sapeva che stava per scatenarsi l'inferno».

Si sono svegliati tardi?
«Sì, quella è la cosa più grave. Se ci avessero detto solo un mese prima del caos che stava per succedere qualcosa di grosso ci saremmo attivati».

Un errore che invece ritiene che abbia fatto la Regione?
«Abbiamo sicuramente commesso tanti piccoli e medi errori, ma per poter trarre le conclusioni bisognerà aspettare che tutto sia finito».

Ci sarà anche un dopo-Covid, l'economia diventerà la prorità.
«Regione Lombardia sta già facendo delle cose: abbiamo fondi per le attività costrette a chiudere. Il provvedimento è stato deliberato 17 novembre e posso dire che i primi accrediti sono già partiti e saranno presto sui conti degli artigiani. Anche il pubblico può funzionare».

Ha mai pensato a cosa farà dopo la fine del suo mandato?
«Per ora ho pochi altri pensieri oltre a quello di superare questa emergenza. Ci rifletterò dopo la fine di questa emergenza».

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