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Enrico Letta, il piano per portare Marta Cartabia al Quirinale: fuori Matteo Salvini e dentro Silvio Berlusconi

Fausto Carioti
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Se Matteo Salvini non ci fosse, Enrico Letta oggi avrebbe un grosso problema. Il capo della Lega gli serve per evitare il primo ceffone: la nascita di un partito vero a sinistra del Pd. Arrivato lì con l'immagine di abatino democristiano, carico di livore nei confronti di Matteo Renzi (l'esilio parigino non ha lenito i dolori) e in tregua armata con Base riformista, la corrente degli ex renziani Lorenzo Guerini e Luca Lotti, il segretario dei democratici non può permettersi l'apertura di un altro fronte sul lato opposto. La sua prima paura è dover contendere gli elettori a una rediviva sigla rossa guidata da Pier Luigi Bersani, Massimo D'Alema e Roberto Speranza, capace di intercettare i voti di ciò che resta delle Sardine e degli altri movimenti ecologisti, terzomondisti e filo-palestinesi. Con il Pd appiattito su Mario Draghi, il pericolo c'è. I continui attacchi a Salvini hanno quindi questo scopo: uniti all'insistenza sul disegno di legge Zan e sullo Ius soli, dovrebbero attestare che Letta è un vero leader di sinistra, non il loffio moderato che milioni di italiani ricordano.

 

 

ASSE A SINISTRA
Fanno brodo pure i proclami d'amore che il segretario del Pd dedica ogni giorno ad Articolo 1, il partitino di Speranza. Gli servono a dire: non mi remate contro, compagni, perché le nostre identità sono simili e facciamo tutti parte della stessa grande famiglia. È la parte più semplice del percorso che Letta ha davanti. Perché dopo essersi puntellato lì, alla propria sinistra, dovrà buttarsi nella partita per il Quirinale, che è già iniziata, pregando che nel frattempo le amministrative di ottobre non vadano troppo male per Giuseppe Sala e gli altri candidati progressisti. Il suo sogno è arrivare al grande appuntamento di febbraio con il governo Draghi sorretto dalla maggioranza "Ursula", ovvero con Salvini relegato all'opposizione assieme a Giorgia Meloni.

Quando accusa il capo della Lega di essere ostile a Mario Draghi, insomma, o quando spedisce il suo vice, Giuseppe Provenzano, a dire «Se Salvini non vuole i fondi Ue si dimettano i ministri chiamati a gestirli», Letta esprime una speranza. Il suo progetto prevede di sfilare Forza Italia sia a Salvini che a Renzi, che in questo momento sono gli interlocutori privilegiati degli azzurri. Le prime mosse le ha fatte un mese fa, quando ha detto che «Brunetta, Carfagna e Gelmini sono quelli che vanno più d'accordo con i nostri ministri». Approcci che dovrebbero preparare il terreno. Non a strane alleanze elettorali, ma a nuovi accordi in vista della sfida per il Colle. Dove l'obiettivo di Letta, oggi, è opposto a quello di Salvini. Il leghista vuole che Draghi sia il successore di Sergio Mattarella, trasloco che con ogni probabilità segnerebbe la fine anticipata della legislatura e il ritorno alle urne. Letta, al contrario, intende lasciare l'ex presidente della Bce a Palazzo Chigi. Pure la rielezione di Mattarella avrebbe forti controindicazioni per lui: l'attuale capo dello Stato, al massimo, accetterebbe di restare lì uno o due anni in più. La scelta verrebbe così rimandata al prossimo parlamento, nel quale la maggioranza, sondaggi alla mano, sarebbe dei partiti di centrodestra. E allora sì che per la sinistra sarebbero dolori.

 

 

ALTRA MAGGIORANZA
Per questo, Letta conta di chiudere la pratica nel 2022, trovando un candidato che la "maggioranza Ursula" possa gradire. I giallorossi, da soli, non sarebbero infatti sufficienti: se c'è una certezza, è che Renzi intende giocare pure questa partita da protagonista, senza vincoli che lo leghino al resto della sinistra, men che meno al Pd. Marta Cartabia sarebbe perfetta. L'uscita dal governo del ministro della Giustizia non causerebbe la fine della legislatura. E l'insistenza di Letta sulla rappresentanza femminile nelle istituzioni, che a giudicare dalle candidature del Pd alle prossime comunali è pura ipocrisia, ha la sua spiegazione proprio in prospettiva Quirinale.

 

 

Il piano del leader del Pd è comunque confuso, pieno di contraddizioni. L'alleanza con i Cinque Stelle e Articolo 1 dovrebbe essere cementata da una legge elettorale maggioritaria, che obbligherebbe i partiti a formare solide coalizioni prima del voto. Identico effetto, però, si avrebbe nel centrodestra, dove Forza Italia si troverebbe saldata a Lega e Fdi. E allora ciao al sogno malandrino di flirtare con Brunetta, Carfagna e gli altri, che peraltro sono incompatibili con Bersani e Speranza. Tatticismi abborracciati, insomma. In attesa di elaborare una strategia decente, Letta proverà a rifarsi l'immagine agli occhi degli elettori progressisti. Il 27 maggio uscirà il libro Anima e cacciavite, titolo con cui riprende la metafora che ha usato nel discorso d'insediamento al vertice del Pd (il cuore e la tecnica, in altre parole). Ci sarà l'immancabile intervista da Fabio Fazio, disponibile e comodo come solo lui sa essere, e il ritorno nel salotto di Bruno Vespa, probabilmente il 2 giugno. Quindi inizierà un vero e proprio tour in giro per l'Italia. La speranza, oltre a vendere copie del volume, è smuovere i sondaggi: da quando è arrivato lui, il Pd ha guadagnato appena 1 punto e oggi naviga attorno al 19%, a rischio sorpasso da parte di Fratelli d'Italia. Se vorrà piazzare un proprio candidato al Quirinale, gli converrà presentarsi all'appuntamento con numeri più solidi e idee un po' più chiare.

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