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Massimiliano Fedriga: "Regioni autonome in due anni. Il piano vaccinale? Successo anche merito nostro"

Pietro Senaldi
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«Niente scaricabarile sulle Regioni». Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia, Giulia fa scudo al collega ligure Giovanni Toti, sotto attacco dopo la morte della giovane ligure Camilla Canepa. La diciottenne è deceduta a seguito di una iniezione di Astrazeneca, somministratale in una delle giornate di profilassi libera organizzate da molte amministrazioni territoriali per immunizzare i ragazzi. «Non compete a noi Regioni stabilire quali vaccini si possono usare e a chi si devono dare. Le autorità preposte hanno tracciato i paletti e noi ci siamo tutti mossi dentro il perimetro tracciato.

Lei però in Friuli Venezia Giulia ha deciso di non dare Astrazeneca ai giovani...

«Qui abbiamo fatto sempre scelte molto prudenziali. Non vacciniamo con Astrazeneca, e nemmeno con Johnson & Johnson, chi ha meno di sessant' anni».

Quindi i governatori hanno libertà di scelta?

«Quel che è consentito lo stabiliscono il ministero della Salute e l'Agenzia del Farmaco. Da tre giorni nessuno può dare Astrazeneca sotto i 60 anni, ma fino a venerdì lo si è continuato a somministrare legalmente. Non torniamo allo scontro Stato -Regioni, che è stata una delle pagine più squallide della pandemia».

Molti a sinistra sostengono che il Covid ha dimostrato che la sanità affidata alle Regioni è un fallimento e che va centralizzato tutto...

«Abbiamo un esempio di sanità centralizzata, la Calabria commissariata. Non mi pare che lì le cose siano andate bene, né nella cura né nella profilassi; anzi, sicuramente sarebbero andate meglio se anche lì la Regione avesse potuto gestire tutto a livello territoriale. È scorretto approfittare di un'emergenza per mettere in discussione l'assetto istituzionale. Alla fine contano sempre gli uomini».

Però qualcosa nelle Regioni non è andato per il verso giusto...

«Per me le Regioni sono sta teil baluardo contro il Covid. Hanno garantito le cure ai cittadini senza indicazioni dal governo. Ricordo i mesi in cui a Roma non capivano nulla e ci attaccavano perché chiedevamo ai cittadini di in dossare le mascherine o volevamo mettere in quarantena chi arrivava dalla Cina».

 

 

 

Errori però ne sono stati fatti...

«Quelli da tutti. Però le Regioni mettono sempre davanti il lato pratico delle cose, quando spesso i governi centrali si fanno trarre in inganno dalla sola teoria. Io credo che il sistema abbia retto al Covid grazie alle Regioni e che ne andrebbe rafforzata la competenza».

Da pochi mesi Fedriga è presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni, un ruolo che vale quanto un ministero, visto che è ammesso nella cabina di regia del governo per la gestione dei duecento miliardi di fondi europei per il Piano Nazionale di Rilancio. È uno dei governatori porta -bandiera della Lega, con la peculiarità che unisce al legame con il territorio una vocazione per la politica nazionale. Piedi ben piantati in Friuli Venezia Giulia e sguardo su Roma e sull'Europa, una sintesi tra il modello Zaia e quello Giorgetti. Con il plus che nessuno ha mai cercato di cavalcarne l'abilità per metterlo in contrapposizione a Salvini. Pure questo è un notevole merito, se non il più grande. Ortodosso ma non populista, uomo fermo ma di dialogo. Con lui a guidare le Regioni e la Lega al governo, può riaprirsi il discorso delle autonomie regionali. «Entro questa legislatura porremo le basi per dare l'autonomia alle Regioni che l'hanno votata con i referendum dell'ottobre 2017. Il tema è già stato rimesso sul tappeto» assicura Fedriga.

 

 

 

 

Ne ha parlato con il presidente Draghi?

«Ne abbiamo discusso con il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Gelmini, la quale ci ha assicurato che lavoreremo presto a una legge quadro che consenta accordi bilaterali tra le singole Regioni e lo Stato per avviare autonomie differenziate».

Da dove si partirà?

«Ovviamente da Lombardia e Veneto, che hanno votato il referendum, e dall'Emilia Romagna, che ha avviato il processo contestualmente a Milano e Venezia. Ma l'offerta vale per tutti. Ci sono una decina di Regioni interessate».

Il ministro per il Sud, Carfagna, vi ostacolerà. Il Mezzogiorno è contrario all'autonomia differenziata...

«Il punto di sintesi tra le esigenze di autonomia economica del Nord e le necessità di offrire perequazioni al Sud era stato già individuato dal mio predecessore Bonaccini, il presidente dell'Emilia Romagna. Era un equilibrio che metteva d'accordo tutti. Poi il processo si è arenato con l'avvento del governo giallorosso e della pandemia. Ora è il momento di ripartire».

Il secondo governo Conte era antiregionalista?

«C'era meno attenzione a noi. Le Regioni erano un po' soffocate. Draghi ha un approccio più dialogante e aperto, e i risultati si vedono».

Per esempio?

«Il successo del piano vaccinale è dovuto alle Regioni, non solo a Figliuolo. Il generale ha impresso il cambio di marcia, ma gli hub vaccinali li abbiamo aperti noi, abbiamo reclutato il personale, organizzato la profilassi, stilato i calendari. Il governo centrale non sarebbe mai stato in grado, con tutta quella burocrazia. Draghi ha capito che senza Regioni non si governa, e più potere anno, più il governo centrale se ne avvantaggia. Si è visto da subito».

Quando vi ha ascoltato?

«La svolta è stata il decreto riaperture. Questo governo, a differenza del passato, ha gestito chiusure e aperture sempre in contrapposizione con le Regioni. Questo governo ha elaborato con noi il calendario delle ripartenze. E per questo gli italiani lo hanno seguito. Fino a gennaio molti divieti venivano elusi dai cittadini perché non erano condivisi. Ora che si ascoltano i territori, e quindi la popolazione, non è più così».

A che criterio vi siete attenuti nelle riaperture?

«Meglio norme non perfet te ma efficaci, che gli italiani seguono, piuttosto che grida vuote e non condivise». La prossima sfida come presidente dei presidenti delle Regioni? Se non funziona il rapporto Stato -Regioni, rischiamo di buttare via i 200 miliardi di aiuti in arrivo da Bruxelles».

Che ruolo avrete nel Piano Nazionale di Rilancio?

«Le opere pubbliche e le politiche di investimento nazionali devono essere integrate con il territorio. Se costruisco una ferrovia o anche solo una stazione ma non la collego alla mobilità locale, faccio una cattedrale nel deserto».

Dove il governo non vi segue è nella lotta all'immigrazione clandestina...

«L'immigrazione illegale è ora uno dei maggiori veicoli del Covid. In Friuli Venezia Giulia il 30-40% dei nuovi contagi giornalieri arriva da clandestini. Vanno riattivate subito le riammissioni. D'altronde, noi li riportiamo da dove arrivano, ossia in Slovenia, che è Europa, e quindi non mettiamo a rischio lelo ro vite né i loro diritti».

 

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