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Giorgia Meloni, il messaggio alla leader FdI: perché la destra da sola non vince, il precedente di Marine Le Pen

Renato Farina
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Non ci sono riflessi sull'Italia delle elezioni regionali francesi. Va be' essere provinciali ma non fino a questo punto. Ma quanto successo nelle urne del Paese che ama definirsi l'Esagono, rivendicando una sua grandeur persino geometrica, può essere istruttivo per le nostre forze politiche e in particolare per le dinamiche del centrodestra. Dice qualcosa specialmente a Giorgia Meloni. E cioè: la performance solitaria sulla corsia di destra, senza proporsi sin d'ora una prospettiva di inclusione paritaria, porta alla fine di riempire il proprio bicchiere, ma mai la bottiglia. Come insegna quanto sta capitando a Marine Le Pen. Su cui Macron ha fatto, e farà ancora di tutto, per innalzarla a unica rivale, ché poi tanto la batte. Adesso però lasciamo Roma e la Pianura Padana e scavalchiamo le Alpi. È la prima volta che i cittadini sono chiamati al voto in una grande nazione occidentale mentre si percepisce popolarmente la (quasi) vittoria contro il Covid. Ed ecco risultati e analisi.

 

 

1- Record assoluto di astensionismo (68 per cento). Mai successo in questa misura. Dopo la tragedia pandemica, la protesta per i guai che in Francia sono simili a quelli italiani, quanto a immigrazione, insicurezza, rapina fiscale, disoccupazione, non si è riversata non diciamo in una cascata ma neppure in un rivolo di con sensi in più verso i partiti radicalmente anti-sistema. Chi aveva già aperto i bocchettoni per riempirsi il serbatoio e conquistare quattro o cinque regioni era la destra estrema di Ressemblement national, d'ora in poi Rn, di Marine Le Pen (18,5 percento). Sembrava l'ora del destino. I sondaggi erano entusiasmanti, solo nella regione detta Paca (Provenza -Alpi -Costa Azzurra) c'è la possibilità di una vittoria al ballottaggio. Peggio ancora per la sinistra estrema, "France insoumise", traducibile con Francia ribelle, di Malenchon (4 per cento). Nessuno tra i francesi ha creduto che questi due partiti se la sarebbero cavata poi molto meglio dinanzi allo tsunami timbrato Cina, non è la politica a cambiare il mondo, e allora meglio godersi una domenica di sole.

LA SORPRESA DEI CONSERVATORI
2- Ha vinto la destra, che in ottica italica si potrebbe tranquillamente definire centrodestra: Les Républicains (Lr), con il 29 per cento, sono con netto vantaggio il primo partito francese. Sono i gollisti e altre forze consimili radunatisi in una sorta di federazione, sono conservatori, europeisti senza rinunciare alle critiche agli eurotecnocrati. Sono una sorpresa. Parevano dover essere inghiottiti in un boccone da una Le Pen che cita Mitterrand (qualificandosi come "Forza tranquilla") e De Gaulle (con la citazione dell'appello del giugno 1940 contro gli invasori). Contava di pescare nel lago degli avversari. Non è andata così. In particolare al Nord, dove vive la Francia profonda, Hauts-de-France, i Repubblicani hanno superato di un gran balzo il 40 per cento. È la regione di Lille, e non è luogo di una vittoria casuale, perché esprime il cuore del Paese emergente: il Lille ha battuto il Paris-Saint-Germain e si è aggiudicata il campionato di calcio, e c'è una logica in tutto questo.

 

 

MACRON SCONFITTO
3- Emmanuel Macron, con il suo "En Marche" ha raccolto poco, circa il 10 per cento, ma si sapeva, il suo partito non ha base territoriale. Ma ad essere frantumata è stata la sua strategia. Puntava a confinare in una nicchia impotente la destra moderata, stritolandola come insignificante nella tenaglia tra macroniani e lepeniani. L'Eliseo non ha combattuto la Le Pen, ma soprattutto Xavier Bertrand, lo stra-vincitore di Lille, ex ministro del Lavoro di 56 anni. Gli ha schierato contro i ministri più popolari. Niente da fare. Bertrand ha irriso gli avversari: «Gli ho rotto la mascella». Come si vede essere moderati nelle scelte di fondo - convergenza con i popolari sull'Europa, liberali in economia - non per forza implica un linguaggio caramelloso.

 

 

4- Oltre ai gollisti sono cresciuti i verdi, un socialismo tradizionale ha ottenuto un buon 18 percento, che nulla ha a che fare con i fasti mitterrandiani ma conferma la tenuta generale delle forze tradizionali. Se dev' esserci partita non è più tra avanguardie radicali. La lezione per l'Italia ci viene facile da ricavare, con l'ovvia avvertenza che da noi la politica è dominata dal "Momento Draghi". Questo implica la legittima differenza di status tra chi nel centrodestra sta nel governo (Lega e Fi) echi (FdI) pratica un'opposizione che non è certo quella estremista del tanto peggio tanto meglio. Naturale che non possa esserci coordinamento tra chi vota sì e chi vota no alla fiducia. Ma l'insegnamento francese invita a iniziare un percorso inclusivo, che alla convocazione dei comizi elettorali consenta di proporre una forza consolidata, capace di valorizzare e armonizzare accenti e sensibilità differenti ma coessenziali. Procedere divisi. lasciando indeterminato il tempo e i modi degli accordi, magari laschi, magari da cartello elettorale esposto al vento delle opportunità di bottega (come documenta la storia di questa legislatura con il governo giallo-verde) sarebbe deleterio. Non solo per vincere, ma per durare nel sistema post-Covid e post-Draghi, occorre porsi l'obiettivo di convergere in un grande partito repubblicano, all'americana o anche alla francese, ma soprattutto che sia profondamente italiano.

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