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I grillini e le faide incomprensibili che fanno scappare gli elettori: l'inquietante precedente francese

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Renato Farina
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Occhio alla Francia e al suo fiasco. E non parliamo di calcio nel senso di football, ma di calci nel sedere che i cittadini elettori hanno rifilato ai partiti in quanto tali. I due turni per le elezioni regionali galliche hanno registrato un astensionismo che non ha avuto nessun carattere di protesta, o di nervosismo, ma è stato quanto di più sia mai somigliato allo sbadiglio nella storia della democrazia transalpina. È stato un voto, ha scritto Le Figaro, che ha sì eletto dei presidenti per l'Aquitania e per la Provenza eccetera, ma in realtà ha sancito la "secessione" dei francesi dal loro sistema politico. Alle urne si è recato solo un francese su tre. E dire che si è trattato di elezioni "di vicinato", che implicano interessi immediati, decisioni che pesano sul destino del tuo orticello. Niente da fare, si è comunque battuto ogni record. Cari politici italiani di destra, di sinistra e di centro, di sopra e di sotto, con i vostri bei candidati più o meno civici già bruciati o di là da venire, vi state rendendo conto o no che il rischio clamoroso è quello di aggiudicarvi un trofeo che conta come una patacca, delegittimato in partenza dalla diserzione delle urne e perciò debolissimo? Osserviamo il campo. Il governo Draghi è un'entità che regna da sopra le nuvole. La maggioranza vastissima (il 90 per cento dei parlamentari) su cui si regge è così multiforme e ideologicamente scombinata che accetta quietamente qualunque cosa Super Mario con i suoi scudieri gli ammannisca. C'è una specie di delega universale a prescindere. Come diceva quella pubblicità con Virna Lisi? Con quella bocca può dire ciò che vuole. Per fortuna Draghi non solo dice ma fa e pure bene, tant' è vero che il suo consenso popolare cresce e supera il 70 per cento. Ma tutto questo non fa guadagnare credibilità ai soggetti costituzionalmente abilitati a tradurre la volontà dei cittadini in rappresentanza e in programmi. Parliamo dei partiti, ovviamente. Essi stanno giocando in Italia una partita estenuante, una specie di surplace, in vista delle elezioni municipali delle grandi città del prossimo settembre. Stanno calcolando le mosse per battere l'avversario, e mandare a dama la loro pedina. È come se dessero per scontato che lo stadio sarà pieno e l'incitamento possente a favore dei rispettivi gladiatori. Ehi, forse per l'autunno gli anfiteatri del calcio, finita l'asfissia pandemica, torneranno ad essere la bolgia di una volta. Gli europei attualmente in corso ne sono una prefigurazione. Invece non si avverte nell'aria alcun desiderio di tornare a riempire le piazze per comizi e affini, né tanto meno le cabine elettorali.

 

 

 

Mediocrità

A sinistra le primarie per scegliere i candidati sono state la fiera della mediocrità. Le rincorse amorose di Enrico Letta dei Cinque Stelle hanno dimostrato la sua inconsistenza politica, il suo fiuto piuttosto scarsino lo ha condotto ad abbracciare un leader inesistente come Giuseppe Conte, impegnato da mesi a pretendere l'eredità esclusiva degli escrementi (come tradurre in italiano politicamente corretto le stronzate e i vaffa?) lasciati lungo la strada da Beppe Grillo. I sondaggi danno il Pd al 20 e il M5S al 15? Ma sono una graduatoria che equivale al conteggio dei followers, non hanno consistenza reale. Non fanno massa, ma ologramma. A destra (o centrodestra) va meglio sì ma mica tanto. Certo, l'alleanza dei tre partiti che in ordine alfabetico si chiamano Forza Italia, Fratelli d'Italia, Lega per Salvini (più Cambiamo, Noi per l'Italia, Cdu) è clamorosamente in vantaggio quanto a sondaggi rispetto ai concorrenti. Ma accidenti questa coalizione com' è possibile non riesca a trovare un candidato unitario in cui credere a Milano, Bologna, Napoli e in parecchie altre città e cittadine? Tutti dicono uniti -si-vince, non facciamo il partito unico perché la differenza è ricchezza, ma questo spettacolo di incertezza è dissipazione di quel bene raro che è oggi la fiducia. Un conto è rispondere al telefono o mettere una crocetta su un questionario che ti arriva in casa, come fanno i sondaggi (ricevere una telefonata nel mondo d'oggi, dove non ti vogliono vendere nulla, ma solo sentire un'opinione è molto gratificante, ormai ti telefonano soltanto quelli del gas e della luce). Un altro è dirigersi una domenica mattina alle urne. Perché andare alle urne dopo l'esperienza del Covid è in sé una dichiarazione di fiducia nel sistema, è come andare sulla strada a veder passare il Giro d'Italia invece che guardarselo un momento alla tivù, è un attestato di passione.

 

 

 

Antipolitica sconfitta

E lo spettacolo cui si assiste (finora: non disperiamo di qualche colpo di reni nei pressi del traguardo) non è tanto meglio di quello che in Francia ha preceduto il flop. La volontà di ribellione allo status quo, a Parigi e dintorni, non ha trovato la sua casa nell'opposizione radicale di destra o di sinistra. Il Rassemblement national di Marine Le Pen e La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon hanno perso di brutto. In Italia l'antipolitica e l'odio contro parlamentari e affini aveva trovato il caravanserraglio nel grillismo i cui ragli d'asino avevano il loro fascino da gabbia dei matti. Quel tempo è finito. Il rischio è l'astenia, l'abitudine al coprifuoco morale. Gaël Brustier, politologo che va per la maggiore Oltralpe, parla di «domanda passiva di depoliticizzazione autoritaria». L'astensionismo oggi, traducendo la formula in soldoni, equivale a consenso a un governo scolorito purché forte, agisca tipo Draghi- Figliuolo, e non ci rompa troppo los cojones, dicendola stavolta alla spagnola. Al centrodestra va bene così? A quanto pare sì. Allora si vada avanti a invidiare i sondaggi gli uni degli altri, e a bruciare fantocci nel falò delle proprie vanità. 

 

 

 

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