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Enrico Letta, voci sulla congiura nel Pd: "Non ne ha azzeccata una". Il piano per sostituirlo con Stefano Bonaccini

Stefano Re
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L'Enrico Letta che non ne azzecca una (ultimo il tentativo di arruolare Marcell Jacobs a favore dello ius soli, respinto a tempo di record dal velocista azzurro) rianimai suoi avversari interni e risveglia la voglia di fare un congresso per scegliere un segretario diverso. Che magari risponda al nome di Stefano Bonaccini, sogno che una parte del Partito democratico non ha accantonato e che altri iniziano adesso ad accarezzare. In questi giorni, sotto l'ombrellone, le "chat" che più scaldano i cellulari dei parlamentari piddini sono proprio quelle riguardanti lo ius soli. Il problema non è l'idea di concedere la cittadinanza a chi nasce in Italia, sulla quale lì sono tutti d'accordo, ma il modo in cui Letta l'ha portata avanti, rifiutando ogni confronto con il centrodestra. Un metodo giudicato «disgraziato» tanto quanto quello usato per il ddl Zan, che infatti è finito nelle sabbie mobili del Senato. «E adesso rischiamo di fare il bis con lo ius soli», dicono dalle parti di Luca Lotti e del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ossia in Base riformista, la Luciano Pizz corrente che si oppone al segretario. Il motivo è sempre quello: in parlamento non ci sono i numeri, anche perché i Cinque Stelle non hanno alcun interesse a cambiare idea, visto che si tratta dell'unico tema su cui ancora si distinguono dal Pd. Dunque «non c'è una maggioranza sullo ius soli così come non c'è sulla legge Zan», commenta un piddino emiliano, «e non capirlo, come fa Letta, significa fare un altro regalo a Salvini». Ferite sulle quali, ieri sera, ha sparso sale Matteo Renzi, rivolgendosi allo stesso segretario del Pd: «Gli dico che sullo ius soli è inutile attaccare Salvini, quando i tuoi alleati, come la Taverna o Di Maio, usano le stesse parole di Salvini». L'altro argomento che appassiona e inquieta sono le "Agorà" volute da Letta. A cosa debbano servire, nessuno lo ha capito.

 

 

MOLTO FUMO
Il segretario le ha dipinte come il tentativo di rifondare il Pd "dal basso", incontrando i militanti in piazza oppure online, per discutere dei temi identitari della sinistra. Tutto già visto e molto fumoso. L'unica cosa chiara è che sinora sono state un mezzo flop: nell'esordio a Napoli, con tutti i candidati sindaco presenti, si sono visti parecchi posti vuoti in platea. Normale che tra i rivali di Letta monti il dubbio: non vorrà mica usare simili messinscene per evitare il congresso? Del resto è stato lui stesso a farlo credere, quando ha detto che «il congresso nessuno lo ha chiesto e io non lo chiedo. Abbiamo le amministrative e il lavoro delle Agorà per costruire un nuovo centrosinistra». È questa la partita vera: se nel prossimo anno, ossia prima delle elezioni politiche previste (salvo fine anticipata della legislatura) per il 2023, ci sarà un congresso al quale presentare un candidato che sfidi Letta e crei la possibilità di andare al voto guidati da un leader diverso. Il nome, ovviamente, è quello di Bonaccini. Quando Nicola Zingaretti era ancora segretario e pareva orientato a fare un congresso, il governatore dell'Emilia-Romagna aveva deciso di sfidarlo. Poi è arrivato Letta, che al momento di contrattare le condizioni del ritorno da Parigi ha chiesto una tregua ai suoi oppositori, e l'operazione si è fermata.

 

BARRICATE
Ma ora il salvacondotto è scaduto e da Base riformista fanno sapere che quel congresso s' ha da fare. Dopo l'elezione del prossimo presidente della repubblica, ossia a marzo, e al più tardi nell'autunno del 2022. «Siamo pronti a fare le barricate, Agorà o non Agorà», promette un parlamentare di primo piano. Per capire l'aria che tira, basta vedere il lungo elenco di esponenti del Pd che chiedono di partecipare agli incontri nei quali Bonaccini presenta "Il Paese che vogliamo", il suo libro, che è una sorta di programma per il governo dell'Italia. La conferma che le sue ambizioni vanno oltre l'Emilia-Romagna, e che iniziano a essere parecchi quelli che puntano su di lui. 

 

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