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Afghanistan, il generale Vincenzo Santo: "Perché Draghi deve chiedere le dimissioni immediate di Di Maio"

Francesco Bozzetti
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L'Afghanistan torna il peggior covo di terroristi di tutti i tempi. Dopo vent' anni di speranze sulla vittoria del "bene sul male", dopo migliaia di morti, il Paese ritorna nelle mani dei talebani. Cronaca di una disfatta annunciata. Il ritiro degli alleati guidati dagli americani era stato infatti deciso da molto tempo. Ne parlò per primo Barak Obama, lo ribadì il suo successore Donald Trump e lo ha ora reso operativo l'attuale capo della Casa Bianca Joe Biden. La transizione ordinata e non traumatica, però, avrebbe dovuto avvenire nel giro di 3 mesi. E invece, improvvisamente, l'incubo peggiore: i ribelli si riappropriano dell'intero Paese in pochi giorni, anzi in poche ore, inseguendo e spesso giustiziando civili e militari sulle poche vie di fuga. Cosa è accaduto, quali errori sono stati commessi, e soprattutto quali colpe hanno anche i nostri politici?

 

 

 



Lo chiediamo ad un uomo che è stato sul campo di battaglia, il generale di corpo d'Armata Vincenzo Santo, ex capo di Stato Maggiore di tutte le forze Nato in Afghanistan dal settembre 2014 al mese di febbraio 2015, il periodo forse più caldo della guerra ai talebani. «Ci sarebbe da domandarsi» afferma il generale, «quanta preparazione, quanto spirito di corpo aleggiasse, quale grado di addestramento e di affidamento siano stati garantiti in vent' anni all'esercito governativo afghano che si è dissolto come neve al sole ai primi fuochi dell'artiglieria talebana». «Citando von Clausewitz» prosegue Santo, «agli eserciti occorre saper infondere spirito di appartenenza, senso di comunità e di patria. L'Afghanistan non è mai stata una nazione unita ma un insieme frastagliato di tribù, un popolo di pastori e di villaggi con differenze e distanze abissali l'uno dall'altro».

 

 

 



COLPE INTERNAZIONALI - E questa è una prima spiegazione della disfatta. L'altra, secondo il generale, è più banale: «La maggior parte dei soldati governativi afgani si arruolava per soldi. Certo c'è la corruzione, ma non va sottostimato il mancato serio impegno internazionale per lo sviluppo economico del Paese. Rimasto povero, arretrato, ancorato a un'economia rurale». Queste osservazioni spiegano la diserzione di massa fra le forze afgane. Ma non la defezione sul campo dell'esercito più potente al mondo, quello degli Stati Uniti d'America... «Occorre domandarsi se gli americani volessero davvero costruire in Afghanistan una nazione democratica sul modello occidentale. Edificare cioè una specie di "Stato d'Israele". Non conosco quali accordi siano scaturiti negli incontri di Doha fra gli americani e la delegazione talebana, ma non credo che la nascita di un Afghanistan occidentalizzato fosse negli obiettivi di Washington. Forse all'inizio ma, vista l'impossibilità riscontrata di "conquistare cuori e menti", a quel punto, intorno al 2007-2009, il disegno strategico è divenuto quello di mantenere un'area di instabilità. Se resta l'instabilità, ogni futuro intervento militare diventa possibile, anzi necessario. Soprattutto in considerazione dell'importante influenza nel Paese da parte di un sempre più forte contendente: la Cina».

 

 

 



IL PREZZO DELL'ITALIA - L'Italia ha pagato un tributo di sangue altissimo alla coalizione internazionale che il generale ha comandato tra il 2014 e il 2015. Cinquantatré soldati morti, centinaia di feriti e costi economici ingenti. È stato un sacrificio inutile? «Parliamoci chiaro» risponde Santo, «gli americani usano la Nato come vogliono e quando vogliono. I nostri politici hanno sempre seguito a ruota senza il supporto di un'analisi indipendente. Bisognerebbe comprendere le ragioni del nostro intervento in Afghanistan, quelle per cui ne siamo usciti e capire se i nostri 53 morti siano stati un sacrificio inutile o meno. I nostri governanti cosa hanno rappresentato e come hanno reagito quando Biden e Stoltenberg, segretario della Nato, hanno parlato di ritiro? Hanno concordato o erano contrari a tale decisione pur divenendone per forza di cose esecutori forzati?». La resa improvvisa e tumultuosa di Kabul è stata dunque un errore delle intelligence occidentali? «La rappresentazione di cittadini impauriti, in fuga disordinata e spesso senza scampo di migliaia di afgani deve farci riflettere proprio su questo aspetto. C'è stato un indubbio fallimento della "copertura di intelligence" sulla caduta della capitale. Tutto si è svolto con una rapidità incomprensibile, considerando la sicurezza che gli americani confidavano sull'affidabilità operativa delle forze afghane. Non avevo alcun dubbio sul fatto che i talebani avrebbero riassunto il controllo del Paese» dice il generale Santo, «ma al di là delle mie personali opinioni sulla strategia americana, mi stupisce e rattrista l'assoluta assenza di un allarme da parte dell'intelligence. A meno che non esista un accordo fra talebani e (ex) governo nazionale. Vantarsi domani di un "ponte aereo" per l'evacuazione dei connazionali e degli altri collaboratori afgani, e mi auguro che sia così, non discolpa il ministro degli Esteri Di Maio, quello della Difesa Guerini, il direttore dell'Aise (servizi segreti militari) e del CoVi (Comando operativo di vertice Interforze) dalla completa debacle diplomatica e di intelligence. Qualcuno doveva pur fiutare come le cose stessero precipitando con un'accelerazione improvvisa e ingovernabile». Conclude Vincenzo Santo: «Draghi dovrebbe chiedere le immediate dimissioni di questi personaggi. Se siamo ancora in un Paese serio». 

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