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Giorgio Napolitano, bis al Quirinale pilotato? La rivelazione del big del Pd: "Pressione enorme, nessuna emergenza"

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Una "pressione enorme" per spingere il Parlamento a votare per il bis di Giorgio Napolitano al Quirinale, nonostante l'emergenza democratica fosse "irreale". Cioè, inesistente. A sostenerlo non è Beppe Grillo o uno dei grillini che in quei giorni di primavera 2013 scesero in piazza per protestare, ma Umberto Ambrosoli, che in una intervista al Corriere della Sera ricostruisce "dall'interno" quanto successe in quei tumultuosi giorni. 

 

 

 



Per chi non se lo ricordasse, Ambrosoli è il figlio di Giorgio, l'avvocato commissario liquidatore della Banca privata italiana ucciso da un sicario ingaggiato da Michele Sindonda nel 1979 in una delle pagine più oscure degli anni di Piombo italiani. Ambrosoli era stato candidato governatore del Pd alla Regione Lombardia, sconfitto. Ma nel 2013 era presente in Parlamento da rappresentante regionale per eleggere il presidente della Repubblica. Il mandato di Napolitano è finito, ma si è nel pieno della crisi per la formazione di un nuovo governo. La legislatura è complicata, manca una maggioranza. Il Pd ha "non vinto" le elezioni, Silvio Berlusconi è stato protagonista di un recupero clamoroso. Ma soprattutto debutta il Movimento 5 Stelle, con un 25% "congelato" dai veti grillini sulle alleanze. Che fare? La partita è doppia: Palazzo Chigi e Quirinale. L'impasse è clamorosa, coi 5 Stelle che rifiutano le offerte di Bersani. Grillo lancia la proposta: votiamo insieme il presidente della Repubblica e poi possiamo anche pensare a un governo.

 

 

 


Secondo Ambrosoli però, la situazione non era così drammatica. "Mi colpì quanto fosse enfatizzata deliberatamente una pressione enorme per spingere verso la decisione, in una condizione di irreale emergenza". La decisione è la richiesta formale dei partiti a Napolitano di proseguire con un irrituale secondo mandato (che si sarebbe poi concluso nel 2015. I 5 Stelle al Quirinale propongono Stefano Rodotà, il Pd tentenna, ma sarebbe stato proprio Napolitano a far saltare la possibile intesa, preoccupato sia per la scelta di un presidente "divisivo" come Rodotà, simbolo di anti-berlusconismo, sia perché l'accordo avrebbe poi spianato la strada a un rischioso governo di ultra-sinistra targato Pd-5 Stelle, in un momento ancora delicatissimo per le finanze del Paese (il governo Monti è finito da poche settimane), tagliando peraltro fuori dai giochi un partito centrista per vocazione come Forza Italia. 

 

 



La sibillina insinuazione di Ambrosoli è che qualcuno abbia dunque pensato bene, su monito del Colle, di far saltare il banco: niente Rodotà, niente Franco Marini, niente Romano Prodi. In un gioco ad esclusione che ha "costretto" i leader di partito a tornare in ginocchio da Re Giorgio per supplicarlo di restare al suo posto. Anche sull'onda dei timori per l'ordine pubblico, con la protesta di piazza dei grillini aizzata da Beppe Grillo (che non scenderà mai a Roma come invece aveva promesso poche ore prima). "Ci saranno state 50 persone - ricorda Ambrosoli a proposito di quella piazza in rivolta -, nei tg sembravano migliaia, nessuno si preoccupò di raccontare davvero come stavano le cose, anzi quella tensione veniva gonfiata ad arte. Una situazione assurda perché non ci si piega a una piazza che peraltro non esiste, né la si prende come alibi, soprattutto nel caso di elezione del presidente della Repubblica, affidata secondo la Carta non certo al voto popolare". 

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