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Sondaggio, schierarsi con i no-vax non porta voti: dalle cifre, un messaggio a Salvini e Meloni

Pietro De Leo
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Il Covid e la sua onda lunga con i riflessi delle politiche anti-contagio hanno rappresentato di per sé un soggetto politico, capace di scompaginare governi, consacrare o stroncare leadership, marcare le diverse intensità presenti nei partiti. È il caso, quest' ultimo della Lega, dove si affollano istantanee contrapposte. Da un lato ci sono i ministri che votano in consiglio dei ministri per l'introduzione del Green Pass e dall'altro i deputati che l'altroieri in Commissione Affari Sociali della Camera si esprimono contro il certificato (in linea con il partito, hanno specificato "fonti" di via Bellerio). Da una parte c'è un grappolo di deputati che, a Roma, raggiungono la piazza dei no-pass popolata anche di no-vax e dall'altra i governatori che spingono sulle immunizzazioni. Insomma, la sembianza di una Lega di lotta e di governo diventa dicotomia e pone, però, interrogativi sui riflessi di tutto questo nei termini del consenso. Libero ne ha parlato con autorevoli sondaggisti. Partendo da un punto: potrebbe pagare, elettoralmente, la strizzata d'occhio verso chi è ostile ai vaccini? Secondo Antonio Noto, dell'istituto demoscopico Noto Sondaggi, no.

 

 

«Contrariamente a quanto si possa pensare - osserva - il popolo no-vax è molto trasversale. Spesso nelle piazze troviamo quelli di estrema destra, ma ce ne sono molti anche di sinistra». Dunque, lanciare segnali in quella direzione «non produce consenso». Peraltro, Noto sottolinea che, anche se le posizioni della Lega non sono coincidenti con quelle dei no-vax, non sono mancati distinguo rispetto alla strategia di immunizzazione del governo, «ma nonostante questo non si è fermato il calo» nei sondaggi. Dunque, che dire di questo volto multiforme tra la compagine di governo e chi flirta con il malcontento? «I partiti di piazza e di governo - spiega Noto - non hanno mai avuto un ciclo lungo», e rimanda ad una esperienza della storia recente: «Rifondazione Comunista fu distrutta da questo. Un partito non può stare con due piedi su una scarpa».

 

 

Per Carlo Buttaroni, di Tecnè, nella Lega «ci sono evidenti contraddizioni, che si pagano». Il partito di Salvini, afferma, «rispetto alla fase del governo con il M5S ha subito una notevole diminuzione di consensi». E aggiunge: «Gli elettori hanno bisogno di semplicità e coerenza, considerando che oramai la politica riscuote un tempo di attenzione molto ridotto della giornata, e i temi vengono poco approfonditi». Buttaroni, poi, illustra il cammino della Lega di nuova generazione nella complessità popolare: «Salvini è riuscito per un lasso di tempo a tenere insieme due tipi di elettorato. Uno che si riassume nei "dimenticati", gli sconfitti della globalizzazione, di cui era stato originariamente interprete il Movimento 5 Stelle. Ed un blocco moderato. Si tratta di mondi paralleli, ma che comunque convivevano. Ora, questa magia si è rotta, soprattutto con la prima area sociale, riscontrabile soprattutto al Centro-Sud; ma anche nel bacino moderato, collocabile al Nord, una parte è in crisi perché certi messaggi eccessivi sono malvisti». Che fare, quindi? «Salvini è a un bivio, tra queste due anime. E la scelta è molto difficile». Per Nicola Piepoli, dell'omonimo istituto di ricerca, non è dunque solo e soltanto una questione di trend di gradimento: «Ci vorrebbero delle ricerche etnografiche, per capire in profondità lo stato d'animo dei leghisti». Se si guarda agli andamenti del consenso, osserva, «abbiamo un'altalena, su e giù. Ma ciò non indica una direzione specifica, che invece sarebbe fondamentale comprendere». 

 

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