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Enrico Michetti, i segreti dell'uomo della Meloni: ecco perché sinistra e radical-chic lo odiano

Alessandro Giuli
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Il difetto o il pregio principale di Enrico Michetti, fate voi, è che non sa recitare, non dissimula: è proprio come lo vedi, il fenotipo dell'oratore facondo innamorato dell'arte della parola, di Roma imperiale, di una certa pedagogia per iniziati al diritto amministrativo di cui è docente e che saprebbe rendere appassionante anche per un telespettatore di XFactor. Ma non sono queste le ragioni che rendono il candidato di centrodestra, scelto da Giorgia Meloni, l'uomo da battere per la conquista del Campidoglio alla fine del rovinoso principato di Virginia Raggi. La sua arma nient' affatto segreta, come ha colto con il consueto fiuto il romanissimo e testaccino Giuliano Ferrara, è la simpatia. In Michetti, prim' ancora dell'aspirante versione stracittadina del tarantiniano "mister Wolf che risolve problemi", ritrovi la naturale predisposizione al sorriso caratteristica dei discendenti di Romolo, siano essi figli del patriziato o abitanti della Suburra. In altre parole: Michetti è romano davvero.

 

 

Non come il democratico Roberto Gualtieri, la cui rigida fisiognomica di grigio potere si può scorgere un po' dappertutto, dalle pagliette altolocate del meridione al travet longobardo salito di rango troppo in fretta e illividito dalla paura di perdere la posizione. Gli si avvicina semmai Carlo Calenda, che nella sua irruenza cosmopolita conserva pur sempre l'eloquio di una Roma molto perbene, rispettabile e coltivata. Ma qui siamo ancora sul piano dei "caratteri", un remoto genere letterario innalzato dall'aristotelico Teofrasto, il quale forse avrebbe dato del "diffidente" a Gualtieri - «quando manda il servo a fare la spesa, ne invia poi un altro con l'incarico di informarsi a qual prezzo il primo abbia fatto le compere» - e avrebbe definito Calenda come quello che «si affanna a dire e fare sempre con buona intenzione» fino a che «smette di raccapezzarsi» e per farsi notare «separa la gente che litiga anche se ' non la conosce». Ma Teofrasto, pur esperto di fisica, non poteva ancora conoscere la sospettissima parola "resilienza" che se ancora ha un senso, abusata com' è dal mainstream più conformista, sembra attagliarsi perfettamente al profilo di Michetti: elastico fino alla deformazione nell'interpretare il ruolo di sé stesso in commedia, capace di sopportare l'urto della maldicenza altrui con una naturalezza e una bonomia da fare invidia.

 

 

SPOCCHIA A SINISTRA
E veniamo al resto. Avversari e antipatizzanti dicono di Michetti che si mantiene in vetta ai sondaggi soltanto grazie alla popolarità di Giorgia e ai voti di lista dell'intera coalizione. Per il resto, accusano, è il vuoto assoluto: un programma clandestino o da ultimo scopiazzato addirittura, come ha scritto Stefano Feltri su Domani; quasi che non fosse così un po' per tutti dacché esistono le campagne elettorali, come se il programma della vigilia non fosse un libro dei sogni ben confezionato (quello di Calenda è al momento il migliore da rubare). Poi aggiungono che diserta i confronti con i rivali, salvo poi scoprire che quando invece si presenta all'appuntamento (alla sede del Messaggero, pochi giorni fa),èbravissimo a reggere la scena. Inoltre lo perculano a sangue perché si profonde in riferimenti alla maestà delle istituzioni antiche, alla Roma dei Cesari (essendo lui un po' Cesarone, nel senso televisivo), alle mirabili arcate degli acquedotti di marmo e al cittadino come centro di gravità delle politiche augustee. E qui i detrattori si sbagliano di grosso, perché ignorano il monito lanciato pochi giorni fa dal sabaudo Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. In sintesi: «Ai romani piace re; ma non sono mente sfiorati dal che essere romani non sia più grande fortuna che sa capitare a un essere no. Roma ha una sua identità, una forte tà. È piena di sé. È che Totti fosse più forte Messi. Ha imposto il prio accento e il "slang" all'industria le italiana. Parla di Ottavia no Augusto come se vissuto ieri (occhio a sottovalutare Michetti: discorsi ai romani no)». Ecco la verità, abbacinante e perciò malvista come ogni verità: Michetti non è soltanto il problem solver che nel 2020 ha convinto Fratelli d'Italia partecipando quasi per caso a un corso di formazione organizzato dal coordinamento regionale di partito e cato al "Procedimento ministrativo", con due di lezione su temi noiosi definizione epperò resi cessibili a chiunque mento ripetuto con so su Youtube e poi in senza nella sede di via della Scrofa)... ti è il tribuno mite che fiamma e spopola su Radio parlando al medio che in lui si riconosce; è l'homo novus di borghesia, o ceto per restare nell'antico, sa parlare al popolino e tiene lontano dalla degli ottimati. Michetti pratica il plebeo e il paddle degli arrivati, è perciò credibile quando promette panem et censes negli stadi della Roma e della Lazio che intende far costruire o quando sceglie San Basilio e il Mercato Trionfale per indossare i panni di Cicerone sulla tribuna accanto ai Rostri del Foro.

IL LINGUAGGIO
Funziona, Michetti, o può funzionare diciamo, perché in uno dei momenti peggiori della storia romana lui ha scelto di gonfiare il petto con le parole «orgoglio»... «riscatto»... «visione», senza cedere alla rassegnazione neghittosa del giornalista medio collettivo sicuro che Roma sia perduta, ingestibile, habitat naturale per cinghiali slavi. Figurarsi se non è vero che l'élite e i periferici romani vogliono un asfalto decente, cassonetti svuotati, marciapiedi puliti. Ma c'è anche dell'altro, appunto: un prevalente orgoglio cesaristico estraneo ai ceti agiati, lo stato d'animo che si esprime nelle curve pallonare con puntuali coreografie imperiali (anche un po' fasciste però, a dirla tutta); un senso della vita che a nord del Raccordo anulare passa per accidia ma dentro le mura si chiama "eterno presente"; e cioè un rapporto così disinvolto con il tempo che, nel bene e nel male, ci rende tutti contemporanei di Mario e Silla, Cesare e Pompeo, Tot ti e Nesta. Michetti, che non ha con sé l'improntitudine a ufo dell'arrembante Catilina ma esibisce la scaltra severità di Catone, il censore arricchito, tutto ciò non solo l'ha ben presente... ce l'ha nel sangue.

 

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