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Enrico Letta vuole far fuori Luciana Lamorgese? Pietro Senaldi: perché è una trappola per Salvini

Pietro Senaldi
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Si mette male. Tra i due litiganti, già si prepara a godere il terzo. Stiamo parlando dello scontro che vede l'inquilina del Viminale, Luciana Lamorgese, contrapposta al suo illustre predecessore, Matteo Salvini. Per una volta, il leader della Lega si trova supportato e in totale sintonia con la leader di Fdi, Giorgia Meloni, che combatte al suo fianco ed è arrivata ad accusare la titolare dell'Interno di operare una strategia della tensione ai danni  della destra.

La vicenda è nota. La ministra è stata messa da tempo sul banco degli imputati dalla coppia sovranista prima per la sua gestione dell'immigrazione clandestina, poi per aver tollerato un mese di rave party senza obbligo di Green pass, infine per aver fatto suonare come dei tamburi i No vax che protestavano pacificamente nel porto di Trieste. Nel frattempo, 3 fatti. A Roma, l'indecoroso assalto alla sede della Cgil da parte delle camicie nere di Forza Nuova, consentito dalla ministra per evitare il peggio e culminato in una dozzina di arresti, che ha dato la stura alle polemiche pre-elettorali su un supposto fascismo del partito della Meloni, malgrado esso sia nemico giurato della forza estremista e nostalgica. A Milano, l'identico assalto, solo a opera degli anarchici rossi, e perciò sventato con quaranta arresti preventivi prima che si compisse, stavolta con grande dispiegamento delle forze dell'ordine. Alle Camere, le improbabili giustificazioni della Lamorgese, la quale si è arrampicata sui vetri per tentare di minimizzare le proprie responsabilità sugli scontri ma che non ha convinto neppure il segretario del Pd, Enrico Letta, il quale ha contestato la gestione della piazza.

 

 

SVOLTA DOPO IL VOTO - Fino a ieri, la questione aveva il sapore di uno scontro di maniera, una recita a uso degli elettori. Draghi ha sempre difeso la Lamorgese da Salvini, che più volte ha chiesto e ottenuto udienza dal premier per porre il problema senza stringere nulla. Si pensava che la situazione fosse immutabile, anche perché la signora gode della protezione assoluta di Mattarella. Qualcosa però è cambiato dopo il voto, ora che l'incidente dell'assalto alla Cgil ha finito di essere strumentalizzato in chiave elettorale e che appare chiaro che il capo dello Stato se ne andrà, e quindi il suo volere conta ogni giorno di meno. Il segnale è evidente. Ieri sulla Stampa, giornale filogovernativo, filoquirinalizio e filoprogressista, faceva il suo esordio in posizione di editoriale, la più importante della prima pagina, Giuseppe Salvaggiulo, puntuto e mai banale narratore politico del quotidiano sabaudo.

L'articolo, contrariamente a quanto è d'abitudine per il cosiddetto "fondo", non è un commento, ma un concentrato di dati e notizie che valgono ben più di una stroncatura perché inchiodano la titolare dell'Interno seppellendola sotto il peso delle sue documentate contraddizioni, impreparazioni e approssimazioni che sconfinano nella menzogna. In sintesi si spiega che: 1) IlViminale sapeva che la manfestazione No vax era potenzialmente pericolosa, perché lo aveva scritto in più informative, ma ciononostante ha predisposto un servizio di sicurezza numericamente inadeguato, prassi insolita 2) il capo del blitz nero, Castellino, aveva avvisato che sarebbe andato nella piazza No vax, la ministra lo sapeva e, contrariamente a quanto lei sostiene, poteva essere fermato, visto che solo 5 giorni prima gli era stato vietato di andare allo stadio 3) differentemente da quanto affermato alla Camera, la Lamorgese aveva dato l'assenso alla marcia fascista sulla Cgil, come risulta da un documento della Digos.

 

 

C'è da chiedersi ora perché la Stampa fornisca un assist di questo genere a Salvini e Meloni. Parte della risposta si trova in un articolo del giorno prima, martedì 19, uscito su Repubblica, altro giornale filogovernativo e filopiddino, a firma Fabio Tonacci. Il testo attribuisce la responsabilità del pestaggio di lunedì scorso degli innocui lavoratori No pass di Trieste direttamente alla ministra, la quale avrebbe saltato e gelato l'intera catena di comando. Musica per Salvini e Meloni, non fosse che l'artiglieria dei media progressisti non suona per spianare la strada ai leader sovranisti.

A volere la testa della Lamorgese, per occuparne la poltrona, infatti adesso è il Pd, e non per ragioni di gestione e indirizzo politico, che sono quelle che animano Salvini, bensì per logiche di potere. Draghi si è reso conto che la ministra non è all'altezza degli standard di efficienza che lui pretende e, con Mattarella in scadenza, si sente più libero. Attualmente la signora resta dov' è, perché ridotta alla funzione di capro espiatorio degli errori del governo, un po' lo stesso ruolo che ha Speranza in tema Covid, ha la sua utilità. Ma tra tre mesi, con SuperMario al Colle o a Palazzo Chigi con mani totalmente libere, è probabile che qualcosa cambi. Lamorgese, è inevitabile perché non più supportata, scivolerà su qualche buccia di banana, o cadrà nell'ambito di un rimpasto più ampio.

 

 

IL CASO MARONI - A quel punto il Pd si alzerà in piedi, tornerà a sventolare la retorica antifascista per sbarrare la strada a un potenziale ministro, anche tecnico, legato al centrodestra, e rivendicherà per sé il Viminale.Il leader della Lega, e la Meloni, potrebbero così trovarsi ad aver lavorato mesi per portare all'Interno Franco Gabrielli, ex capo della Polizia ed attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Sicurezza della Repubblica, nonché in rapporti di amicizia con il segretario del Pd Letta, con il quale condivide i natali democristiani. In quest' ottica, l'ultima mossa della Lamorgese, chiamare a sé l'ex ministro leghista dell'Interno e del Welfare, Roberto Maroni, come presidente della Consulta contro il Caporalato potrebbe essere, se non una mano tesa, un messaggio neanche troppo cifrato a Salvini: occhio, che se ti liberi di me, ne arriva uno che ti è ancora più ostile.

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