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Sergio Mattarella? Tifa Mario Draghi per la successione al Quirinale ma non lo può dire: tam-tam a Palazzo

Fausto Carioti
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Non sarà Sergio Mattarella l'ostacolo tra Mario Draghi e il Quirinale. È la rassicurazione- non richiesta- che il capo dello Stato ha dato al presidente del consiglio in un colloquio recente. Parole che aiutano a capire ciò che sta accadendo tra il colle più alto e palazzo Chigi, nonché l'irritazione che prova il presidente della repubblica ogni volta in cui i parlamentari (iniziando da tanti ex democristiani del "suo" Pd) gli tirano la giacca per convincerlo ad accettare un secondo mandato. Le motivazioni ufficiali di chi spinge per il "bis" sono nobilissime, ovviamente: gli italiani hanno bisogno che questo governo prosegua la propria opera; c'è il rischio di una recrudescenza dell'epidemia causata dalle nuove varianti; se i franchi tiratori affossano Draghi è come se l'esecutivo fosse sfiduciato; sarebbe meglio che ad eleggere il capo dello Stato fosse il prossimo parlamento, ridotto a 600 membri, e non quello attuale. E così via. 

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Nessuna di queste argomentazioni è priva di senso. Dietro, però, tutte nascondono calcoli di basso livello. Si vuole che Mattarella resti come presidente a breve termine, un anno o al massimo due, per tagliare la strada a Draghi ed evitare che la legislatura si concluda anzitempo. E sul fatto che un eventuale "Mattarella bis" sarebbe di corta durata non sembrano esserci dubbi, poiché lui stesso ha già fatto sapere che i nove anni previsti dalla Costituzione per il mandato dei giudici della Consulta sono il massimo che le nostre istituzioni possano sopportare. Mattarella va inchiodato a quella scrivania francese che fu di Umberto I, dunque. Perché l'alternativa naturale è Draghi, il cui trasloco rischierebbe di provocare quelle elezioni anticipate che oggi nessuno vuole, salvo Giorgia Meloni. Quel Draghi che potrebbe dimettersi (e questo lo dicono alcuni dei suoi, a palazzo Chigi) pure se non fosse eletto e al suo posto andasse un altro. 

 

Problemi che si dissolverebbero se, al momento giusto, Mattarella accettasse di congelare la situazione attuale. Il che, incidentalmente, consentirebbe ad aspiranti alla successione che oggi sembrano non avere possibilità, come Dario Franceschini, di giocare una partita molto diversa, quando Mattarella lascerà davvero il Colle. 

Quanto al suo timore che l'Italia diventi una "monarchia di fatto", in cui i capi dello Stato abitualmente succedono a se stessi, dovrebbe svanire col disegno di legge costituzionale depositato ieri, guarda caso da tre senatori del Pd: Luigi Zanda, Dario Parrini e Gianclaudio Bressa. Prevede che il presidente della repubblica possa essere eletto una sola volta e cancella il "semestre bianco", il periodo nel quale egli non può sciogliere le Camere, coincidente con la fine del mandato. Bene che vada, occorreranno molti mesi per approvarlo. Mattarella, così, sarebbe il secondo e l'ultimo. Un cerchio che si chiude, insomma. O quasi. Perché a frapporsi al bis e al perpetuarsi della situazione attuale sino alla fine naturale della legislatura, che cadrà nel marzo del 2023, c'è la volontà dei due interessati. Mattarella ha fatto capire che un suo nuovo incarico, seguente al doppio mandato di Giorgio Napolitano, creerebbe una prassi istituzionale sbagliata. Nel merito, la riforma costituzionale per impedire la rieleggibilità del presidente della repubblica lo trova del tutto d'accordo, lui stesso l'ha caldeggiata: nulla, però, garantisce che venga approvata. 

E poi, oltre alla stanchezza accumulata in sette lunghissimi anni e dichiarata pubblicamente («Sono vecchio, fra qualche mese potrò riposarmi...»), pesa il ricordo di quanto avvenuto a Napolitano, che fu rieletto dai partiti che lo avevano pregato di restare e quindi con malcelato fastidio sopportato dagli stessi, durante il secondo mandato. Quanto a Draghi, il suo interesse per la carica è reale. Sa bene che, per lui, è probabilmente "adesso o mai più": il prossimo parlamento sarà molto diverso da questo e chissà quale maggioranza e quali indirizzi avrà. L'ex banchiere centrale ha già individuato nell'attuale ministro dell'Economia, Daniele Franco, il proprio successore ideale, che ovviamente a palazzo Chigi potrebbe contare sul nume tutelare che lo segue dal Colle. Una staffetta che, secondo Repubblica, Luigi Di Maio avrebbe già anticipato ad alcuni diplomatici, durante un recente vertice internazionale. Mattarella ha grande stima di Draghi e ritiene - a ragione- che averlo chiamato al capezzale dell'Italia malata sia stata la scelta migliore. Anche se non lo dirà mai in pubblico, è evidente che vede in lui le qualità necessarie a un capo dello Stato, inclusala credibilità per rappresentare al meglio sulla scena internazionale un Paese indebitato come il nostro. 

 

Non intende mettere bocca nelle scelte dei 1.009 "grandi elettori" che tra un mese e mezzo si riuniranno nell'aula di Montecitorio per scegliere il suo successore, ma delle proprie scelte il presidente della repubblica è ovviamente sovrano. E l'interesse suo e quello di Draghi coincide. Così, quando gli ha detto «non sarò io il problema», Mattarella non solo ha dato al premier quell'assicurazione che potrebbe fare la differenza, ma ha fatto pure un piacere a se stesso. Perché l'idea di essere usato non gli piace, a maggior ragione per fermare Draghi. 

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