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Silvio Berlusconi, così rovina i piani di Mario Draghi sul Quirinale: il retroscena

Fausto Carioti
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Silvio Berlusconi e gli altri che non vogliono mandare Mario Draghi al Quirinale hanno un'arma in più con cui difendere le proprie posizioni: come si può rinunciare a un simile premier se resteremo in stato di emergenza almeno sino alla fine di marzo? Se siamo ancora nei guai, come ha certificato ieri il consiglio dei ministri, significherebbe fare un salto nel vuoto, con discrete probabilità di suicidarsi. Nel conto bisogna mettere pure quanto scritto nei giorni scorsi dal Financial Times, voce nonché ispiratore della finanza internazionale (la stessa che compra i nostri Btp e alla quale chiediamo di investire in Italia), secondo cui il trasloco di Draghi farebbe «rischiare il ritorno dell'instabilità politica», e aggiungere le paure dei parlamentari terrorizzati all'idea del voto anticipato. Si capisce, quindi, quanto sia impervia la strada che dovrebbe portare al Colle l'ex presidente della Bce. Impervia, però, non significa impossibile. Draghi potrebbe comunque succedere a Sergio Mattarella, se a spingerlo fosse un accordo tra i grandi partiti per incoronarlo con un plebiscito, far capire agli osservatori internazionali che dietro al nuovo presidente della repubblica c'è un quadro politico stabile e magari rassicurare i parlamentari che la legislatura andrà comunque avanti. Significherebbe eleggere Draghi al primo turno, quando il traguardo da raggiungere è quello dei 672 voti, pari ai due terzi dell'assemblea dei 1.008 "grandi elettori". Perché, se c'è un'intesa simile, ci sono pure i numeri per riuscirci, e perché uno come Draghi non può essere una seconda scelta. Come spiega un senatore della maggioranza addentro nelle trattative, «deve essere un'operazione a colpo sicuro. Non puoi candidare Draghi e farlo impallinare dai franchi tiratori, perché lo perderesti pure come premier e manderesti in crisi tutto il sistema, con conseguenze imprevedibili».

 

 

 

LE STRATEGIE DEL CAV

È qui che Draghi trova sulla propria strada Berlusconi. Ammesso che gli altri capi di partito siano disposti a sottoscrivere un patto simile, il fondatore di Forza Italia non lo è. Non intende nemmeno farsi mettere fuori gioco nelle prime tre votazioni, quando l'asticella sarà troppo alta. Mira ad arrivare con un nulla di fatto alla quarta, quando 505 voti saranno sufficienti. Sommando i voti degli esponenti della coalizione di centrodestra e quelli dei satelliti, al Cavaliere ne mancano una quarantina. «A trovarli provvedo io. Voi pensate ai vostri. Fatemi provare, me lo dovete, per tutto quello che rappresento per il centrodestra», è il discorso fatto da Berlusconi alla Meloni e a Matteo Salvini. Messa così, è difficile dirgli di no. Quanto sia determinato, lo spiega l'editoriale uscito ieri su Il Giornale e firmato da Augusto Minzolini. Se in quella quarta votazione, spiega il direttore del quotidiano della famiglia Berlusconi, «verranno a mancare i consensi del centro-destra, allora si aprirà un problema di non poco conto. Verificarlo sarà semplice con le tecniche di voto: basterà per scoprirlo che i "Silvio Berlusconi" nelle urne non corrispondano al numero dei grandi elettori azzurri, che i "Berlusconi Silvio" a quelli dei leghisti e che i "S. Berlusconi" a quelli della Meloni». Si pensa a una "firma" controllabile dei voti dei gruppi, dunque, come già fatto in passato. E «se qualche scheda mancherà all'appello, qualcuno sarà venuto meno alla parola». Morale: «Forse i primi che dovrebbero scongiurare in ogni modo l'esplosione del centro-destra sono proprio Salvini e Meloni: se la coalizione andasse in crisi verrebbe a mancare ad entrambi l'unico strumento che hanno a disposizione per arrivare a palazzo Chigi». Chi sperava di liberarsi di Berlusconi grazie ai franchi tiratori del centrodestra farà quindi bene a cambiare strategia.

 

 

 

CHE OSTACOLO

Sarà un caso, ma Berlusconi ieri ha fatto sapere che oggi non parteciperà alla presentazione romana del libro di Bruno Vespa. «Ha qualche linea di febbre», racconta chi gli ha parlato. Resta il fatto che, in questo modo, eviterà di prestare il fianco a domande impreviste sulla sua candidatura (ancora non ufficiale), su Draghi e sull'intera partita del Quirinale. Dove il centrodestra, pubblicamente, è fermo a quanto detto dalla Meloni pochi giorni fa: Berlusconi è «un patriota» che «compatta il centrodestra», mentre su Draghi mancano «gli elementi» per un giudizio definitivo. Più della variante Omicron e del prolungamento dello stato di emergenza, insomma, il vero ostacolo del premier è il Cavaliere. I cui piani hanno avuto anche l'effetto di paralizzare Enrico Letta. Incassato il «no» di Mattarella al secondo mandato, il segretario del Pd ha accarezzato l'idea di puntare su Draghi, scoprendo che Berlusconi gli impedisce qualunque gioco di sponda con Meloni e Salvini. È a Berlusconi che pensava ieri Letta, quando ha detto che «un'elezione modello Leone, con 505 voti, sarebbe una grave ferita istituzionale al Paese», e ha chiesto ai partiti di «rinfoderare le baionette». Di fatto, un appello a Meloni e Salvini affinché si sgancino da Berlusconi, ma anche la conferma che da lì, anzi da lui, bisogna passare. 

 

 

 

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