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Sergio Mattarella, il prezzo da pagare per il bis: pugno di ferro, ecco chi ora rischia tutto

Sergio Mattarella  

Corrado Ocone
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Qualche anima semplice potrebbe chiedersi se ne sia valsa la pena. Il sistema politico e istituzionale italiano si è come bloccato per più di un mese e alla fine, dopo tanto indaffararsi e tante parole al vento, si è ritornati alla casella di partenza. Tanto rumor per nulla... In verità, non è proprio così e questo mese non è passato invano: ci ha dato molti indizi per capire meglio la crisi di sistema in cui siamo piombati e, in prospettiva, qualche indicazione per uscirne prima o poi. E la soluzione trovata, imposta e quasi "estorta" a un recalcitrante Mattarella, darà al capo dello Stato, sempre nell'alveo del dettato costituzionale, qualche arma in più per accompagnare il sistema verso nuovi e più adeguati assetti politico-istituzionali. E soprattutto per far sì che le tanto annunciate riforme passino finalmente dalla potenza all'atto. I partiti, che per quanto sbilenchi e in crisi continuano ad essere i rappresentanti della "sovranità popolare", non hanno infatti semplicemente chiesto all'inquilino del Quirinale di restare al suo posto per un altro settennato. Gli hanno chiesto nuove e sottintese responsabilità: non è a cuor leggero, infatti, che in una democrazia si allunga così tanto una carica già di per sé non breve. È una legittimazione forte quella che Mattarella ha ottenuto e che ora deve far valere: non solo il riconoscimento di essere l'asse di equilibrio di un sistema fragile e diviso, ma quasi un invito a continuare quel lavoro iniziato una domenica di febbraio dell'anno scorso.

 

 

Fu giusto un anno fa, infatti, che, di fronte a un'altra impasse del sistema, il Capo dello Stato fece un appello a tutti i partiti e si "inventò" la soluzione Draghi. Da allora di strada ne è stata fatta tanta, pur fra innegabili (inevitabili e direi anche proficue) conflittualità fra partiti tanto diversi fra loro. E si può dire che l'Italia si sia rimessa in carreggiata. Aver pensato però che quel lavoro, in alcuni punti solo abbozzato, possa ora procedere per forza inerziale, quasi come se alla guida ci possa essere un "pilota automatico", è stato un errore o un'ingenuità da parte dell'attuale premier. Altre parole, forse, dovevano essere usate in quella conferenza stampa prenatalizia in cui non ha nascosto l'ambizione (legittima) di succedere a chi lo ha chiamato a Palazzo Chigi un anno fa. Non era il momento per questo "trasloco", come in molti avrebbero voluto, a cominciare da Enrico Letta, né per esperimenti politici diversi. 

 

 

CONGELARE TUTTO
Il fatto è che, se muovi oggi una pedina, il rischio concreto è che venga giù tutto l’edificio. È risultato altresì evidente in questi giorni che, senza la sponda di Mattarella, Draghi difficilmente avrebbe potuto continuare il suo lavoro: simul stabunt simul cadent. Congelare tutto è risultato perciò a un certo punto inevitabile, in un’ottica almeno di interesse nazionale. Lo si è capito dopo una settimana in cui altri equilibri sono stati cercati, certamente più consoni a una normale dialettica democratica. Il fatto che si siano consumati uno dopo l’altro dimostra, anche da questo punto di vista, che il tempo della “normalità” non è ancora arrivato. Dobbiamo farcene una ragione senza però arrenderci. Va dato atto a Matteo Salvini di aver tratto queste conclusioni rapidamente dopo che, non per colpa sua, aveva girato a vuoto per giorni interi. Il leader della Lega non si è dato pace in questo frangente: si è mosso freneticamente alla ricerca di una soluzione che rimettesse al centro la politica e, nello stesso tempo, garantisse le istituzioni. Le ha tentate tutte: dalla proposta di una rosa di centrodestra di nomi di spessore e “alto profilo”alla pista di “tecnici”autorevoli e riconosciuti. Di fronte alla opposizione pregiudiziale della sinistra, e in particolare del Pd, ha persino tentato (legittimamente come mostra la storia repubblicana) una soluzione di parte ma lo ha fatto scegliendo un nome di assoluta garanzia istituzionale: la Casellati è nientemeno che la seconda carica dello Stato e l’aria di sufficienza con cui la sinistra ha accolto la sua candidatura è stata nel suo caso assolutamente fuori luogo.

Fallito anche questo tentativo, Salvini si è trovato di fronte a una non facile alternativa: o tener duro e salvare l’unità del centrodestra con una Giorgia Meloni tutta protesa verso le elezioni anticipate, ma con il rischio di mandare all’aria il governo, la stabilità e la ripresa del Paese in corso; oppure mostrare quel senso istituzionale che gli avversari non hanno e favorire la rielezione di Mattarella per il bene dell’Italia. La quale ha necessità di continuare sulla via delle riforme,anzi di radicalizzarle: da una riforma vera della giustizia a una riforma dello Stato e della legge elettorale solo un governo forte, garantito da un Capo dello Stato altrettanto forte, può vincere resistenze e sfondare i muri della conservazione, dare garanzie. Da oggi Mattarella ha tutta la legittimazione e l’autorevolezza per agire in questa direzione. Il Mattarella bis non potrà e non dovrà essere un normale e tranquillo settennato presidenziale. 

 

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