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Mario Draghi, "se ci prova va a casa". Tam tam impazzito a Palazzo Chigi: crisi di governo, solo questione di ore

 Mario Draghi

Fabio Rubini
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La trama delle possibili elezioni anticipate si arricchisce di nuovi scenari. Le indiscrezioni che vorrebbero Mario Draghi pronto a mollare ad agosto - subito dopo aver approvato con largo anticipo la legge Finanziaria per mandare il Paese al voto ad ottobre, si moltiplicano e trovano conferma lungo i corridoi dei palazzi della politica. Indizio numero uno: il premier è stanco delle liti tra partiti, perché indipendentemente da come la si guardi, da questo punto in avanti ogni scelta dell'esecutivo diventerebbe terreno di campagna elettorale. È stato così per l'aumento - poi dilazionato - delle spese per gli armamenti militari, che ha fatto scalpitare la sinistra; lo è con la delega fiscale e con il più che probabile aumento delle tasse sulla casa che risulta indigeribile al centrodestra. Indizio numero due: Draghi dopo essere rimasto scottato dalla corsa per il Quirinale non si fida più dei partiti e delle loro promesse e dunque potrebbe decidere di chiudere anzitempo la sua avventura a Palazzo Chigi, evitando così di farsi stritolare dalle grane settembrine, quando da un lato esploderanno gli effetti della crisi economica e dall'altro i partiti inizieranno la campagna elettorale. Insomma il rischio di rimanere bruciato è molto alto e il premier, che è uomo di mondo, lo sa bene.

 


 

IL FUTURO DI SUPERMARIO - A cosa punta SuperMario? Difficile dirlo. Si è parlato della poltrona di segretario generale della Nato che doveva liberarsi giusto a settembre. In realtà nel marzo scorso l'assemblea generale ha deciso di prolungare l'incarico di Jens Stoltenberg di un anno, fino a settembre 2023, quando comunque vada il governo Draghi sarebbe già decaduto e le nuove elezioni consumate. Idem per un'eventuale accordo sul Quirinale con Mattarella a dimettersi e Draghi, con l'accordo di tutti, a subentrargli. Anche in questo caso, però, lo scenario appare complicato. Intanto una chiusura traumatica della legislatura non aiuterebbe certo Draghi a raccogliere il consenso necessario per andare al Colle e in secondo luogo non avrebbe senso anticipare un piano che potrebbe andare a buon fine una manciata di mesi dopo. Insomma la situazione pare abbastanza complessa.

Per questo il centrodestra domani proverà a stanare Mario Draghi. Al ritorno dal suo viaggio lampo ad Algeri, dove oggi proverà a negoziare scorte di gas capaci di calmierare gli aumenti dovuti alla crisi russa, il premier incontrerà a palazzo Chigi il leader della Lega Matteo Salvini e il presidente di Forza Italia Antonio Tajani. In agenda un unico punto: il no secco all'aumento delle tasse. A partire da quelle sulla casa. Da declinare con una proposta di "dilazione" simile a quella attuata per la spesa sugli armamenti. Ovvero votiamo, ad esempio, la riforma del catasto, ma slittiamo la sua applicazione a dopo le elezioni. In modo che sarà compito del prossimo governo politico attuarla o, in caso di vittoria del centrodestra, stopparla definitivamente. Un concetto, quello del "no" all'aumento delle tasse che ieri hanno espresso sia Matteo Salvini, sia un ministro di peso quale Massimo Garavaglia. Il leader del Carroccio, in visita al Vinitaly, ha ribadito che «Noi lavoriamo per aiutare gli italiani, proteggere famiglie e imprese. Siamo in questo governo per tagliare le tasse sulla casa, sul Bot, sul risparmio, sugli affitti. Bisogna risolvere questi problemi perché dopo due anni di Covid e con una guerra in corso aumentare le tasse non sarebbe immaginabile».

 

NERO SU BIANCO - Ancora più tranchant il titolare del dicastero al Turismo, Garavaglia: «Sulla riforma del fisco io sto alle parole di Draghi, che ha detto che non vuole aumentare le tasse a nessuno. Perfetto - sottolinea Garavaglia - basta scriverlo bello chiaro nel documento. Non è un problema». Quella dei due leader sarà una proposta a risposta chiusa, senza margini di trattativa: prendere o lasciare. Un aggravio delle tasse, anche solo ventilato, è un rischio che né il Carroccio né gli azzurri possono permettersi. Innanzitutto perché mettere le mani nelle tasche degli italiani farebbe scappare gli elettori dei due partiti a pochi mesi dalle elezioni; poi perché a beneficiare di una "calata di braghe" sarebbe la "nemica-amica" Giorgia Meloni, già forte nei sondaggi. Anche per questo Salvini è tornato a ribadire l'unità con Forza Italia che «è e sarà un perno del centrodestra», mentre Silvio Berlusconi è «un amico, un uomo generoso e un politico lungimirante». Dichiarazioni che sembrano voler rimarcare l'unità tra i due partiti - ma guai a parlare di federazione- anche rispetto alla terza gamba del centrodestra, quella Giorgia Meloni che solo sabato aveva subito la tirata d'orecchie di Berlusconi: «Ha perso l'occasione di partecipare al rilancio del Paese», aveva velenosamente affermato il Cav. Insomma, per capire quello che realmente succederà nella politica italiana dei prossimi mesi bisognerà attendere la risposta di Draghi a Salvini e Tajani. Se il premier chiuderà al dialogo sarà evidente la sua voglia di fare le valige il prima possibile, cioè ad agosto, subito dopo aver approvato la delega fiscale e la Finanziaria, anche a costo di farlo senza i voti del centrodestra. Se, al contrario, Draghi vestirà ancora una volta i panni del mediatore, vorrà dire che le possibilità di arrivare al termine naturale della legislatura, aumenteranno. Con buona pace di tutti. Soprattutto degli italiani che si vedrebbero scongiurati nuovi e immotivati aumenti di tasse. 

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