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Enrico Letta per paura di perdere voti riscopre i poveri: Pd, il cambio di linea

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 Enrico Letta

Elisa Calessi
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«Raccogliamo la sfida». Il duello è tra loro due, si sa. Da quasi un anno Enrico Letta e Giorgia Meloni si studiano, si combattono e così si legittimano a vicenda. Sono loro gli sfidanti. I candidati a Palazzo Chigi, le due alternative. Perciò la risposta data ieri dal segretario del Pd alla leader di Fratelli d'Italia, che lanciando la conferenza programmatica del partito aveva detto di sentirsi pronta a governare, è come il gong di una partita di cui fin qui abbiamo visto le prove. «Ci sentiamo radicalmente alternativi a quello che la destra italiana sta oggi pensando di organizzare e proporre. Guarderemo con attenzione a quello che stanno facendo e dicendo», ha aggiunto Letta. Parole che non sono solo di cortesia.

 

 

 

IL VOTO TRANSALPINO

Davvero Letta sta guardando con attenzione alle mosse di Meloni. Lo fa da quando è diventato segretario. Ma nelle ultime settimane lo ha fatto ancora di più. Per un fatto preciso: le elezioni in Francia. Quel voto, è il ragionamento che il segretario dem ha fatto coi suoi, non racconta solo la vittoria di Emmanuel Macron, ma anche l'avanzata di Marine Le Pen. La sua crescita tra i ceti sociali più deboli, nelle periferie più povere. Va di pari passo a queste riflessioni la scelta di virare sui temi economici e sociali: bassi salari, caro bollette, prezzi alti, precarietà, crisi, povertà, disoccupazione. Sono temi che, con sempre maggiore frequenza, occupano il discorso pubblico del segretario dem. Due giorni fa, alla questione sociale, ha dedicato una intera «Agorà». E con lui c'erano, oltre al ministro Orlando e al vicesegretario Peppe Provenzano, anche i tre segretari confederali. Titolo: «Retribuzioni giuste, la dignità del lavoro e del salario tra crisi e transizioni». Una svolta a sinistra, dopo le posizioni filo-atlantiche - più di centro - sull'Ucraina. Si tratta di quello che nella cerchia del segretario definiscono un «preciso posizionamento». Al Nazareno se ne è parlato in più riunioni ed è stato suggerito a tutti i dirigenti di seguire l'esempio del segretario. Letta ha vissuto in Francia, conosce bene l'elettorato di quel Paese. Perciò è stato tra i primi ad accorgersi della vera lezione francese: Le Pen ha vinto (molto più di 5 anni fa) nella Francia più povera. I ceti più popolari hanno votato, quasi in massa, la candidata del Rassemblement National. I più provati dalla crisi economica, dai due anni di pandemia e, ora, dagli effetti della guerra in Ucraina, hanno votato lei. Non Macron. Da qui all'Italia, il passo breve: non sarà, ci si chiede al Nazareno, che anche da noi può succedere così? E se alle elezioni del 2023, con un sistema ben diverso da quello francese, i ceti più deboli scegliessero non il Pd, ma FdI? La corsa trai due è un testa a testa. L'ultimo sondaggio di YouTrend lo testimonia, ancora una volta, dandoli a distanza di uno solo decimale: il Partito Democratico al 21,2%, Fratelli d'Italia al 21,1%. Con Lega e M5S in calo e a distanza (il primo al 15,9%, il secondo al 13,3%). Secondo Swg, invece, sarebbe primo FdI al 21,7%, e secondo, al 21,2%, il Partito Democratico.

 

 

 

LA PAURA

La paura di Letta è che i ceti sociali più indifesi, quelli tradizionalmente (ma ormai sempre meno) a sinistra, votino Meloni. Che la pandemia e ora la guerra, con le loro conseguenze sociali destinate ad aggravarsi, faccia volare FdI. Che il Pd non riesca a intercettare la rabbia degli esclusi, vedendosi sfumare la possibilità di vincere le elezioni. In più, c'è anche la necessità di coprirsi a sinistra, evitando che le questioni poste dai ceti più poveri vengano intercettate ancora dal Movimento Cinquestelle, storico sostenitore di misure come il reddito di cittadinanza. Da qui, la decisione di puntare decisamente su questi temi. «Siamo molto determinati a fare della questione sociale il centro della discussione nel nostro Paese», ha detto, l'altro giorno, Letta, osservando che «in questo momento è evidente che esiste una questione sociale in Italia: i salari italiani sono più bassi in Europa, quelli che sono cresciuti meno». Una situazione antica, ma che oggi «diventa drammatica, una priorità assoluta su cui lavorare». Altra novità è la richiesta al governo di «fare di più», di essere più coraggioso. L'elenco delle misure che secondo Letta andrebbero prese non è corto: fissare un tetto al prezzo dell'energia, aumentare i salari, sostenere il potere d'acquisto delle famiglie, prevedere un assegno energia per famiglie e imprese, ridurre il cuneo fiscale. Su questi temi, il Pd ha cominciato ad alzare la voce. Anche - novità - con Draghi. Scelta che nasce da una seconda paura: ricadere nella sindrome Monti, governo che fece perdere al Pd migliaia di voti. Ed è una paura che si fa strada sempre di più tra i dirigenti dem. È vero che il Pd ha deciso di sostenere fino in fondo l'esecutivo. «Il governo», ha detto ieri Letta, «ha dimostrato di non essere su posizioni estremiste, ma di rispetto dei dubbi che stanno emergendo. Qquesto atteggiamento va sostenuto con grande forza, è quello che fa il Pd e spero lo facciano tutti. È il momento di fare bene e non di cercare di prendere uno o due voti in più». Ma essere leali non significa sparire. 

 

 

 

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