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Parte lo "schiaffone" per la Meloni: "giochi di palazzo", rottura insanabile nel centrodestra?

Giorgia Meloni

Pietro De Leo
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Niente da fare. La proposta di legge di riforma dell'architettura dello Stato in senso presidenziale sul modello francese presentato da Fratelli d'Italia viene abbattuta in Aula alla Camera. Si tratta di un tema qualificante di Giorgia Meloni negli ultimi mesi, che era stato anche al centro della kermesse Atreju lo scorso dicembre. Il voto, però, almeno al momento tira giù ogni speranza e vengono approvati, l'uno dopo l'altro, gli emendamenti soppressivi presentati dal centrosinistra. Via quindi tutti gli articoli dall'1 al 5, esito cui consegue la decadenza di quelli restanti (il testo ne comprendeva 13 in tutto) e fa pronunciare al vicepresidente di turno della Camera, Ettore Rosatoil de profundis: «La proposta si intende interamente respinta».

 

 

L'APPELLO - Intervenendo in Aula a Montecitorio durante l'esame, la leader di Fratelli d'Italia aveva affermato: «La prima regola del presidenzialismo è che il presidente lo sceglie gli italiani, se lo votano, non viene calato loro dall'alto vieni sta accadendo. È questa la vera posta in gioco nel dibattito di oggi». Anche dagli alleati arriva appoggio, così il deputato di Forza Italia Sestino Giacomoni ricorda come una riforma di quel tipo sia «presente nei programmi di Forza Italia e nelle idee innovative di Silvio Berlusconi fin dal primo programma elettorale nel 1994». Netta contrarietà, invece, è espressa dalla compagine di centrosinistra. Il costituzionalista Pd Stefano Ceccantipunta il dito sul fattore tempo: «Se noi dobbiamo cambiare un intero orologio -spiega - che cosa significa proporci a 10 mesi dalla fine della legislatura un testo di questo tipo? Significa fare propaganda perché il tempo non è una variabile indipendente, il tempo è tutto, è la variabile chiave». 

 

 

COMPATTI - Dal Movimento 5 Stelle, invece, la Capogruppo in Commissione Affari Costituzionali Vittoria Baldino osserva: «Il presidenzialismo non è la soluzione per i problemi del nostro sistema politico-istituzionale. E questo perché, invece di puntare solo al comando, riteniamo si debba rafforzare il ruolo del Parlamento». Linea più o meno rivendicata anche da Federico Fornaro, Capogruppo di Liberi e Uguali, che addirittura si lancia in una velata (nemmeno tanto), evocazione di un modello putiniano. Alla fine, però, non basta un centrodestra compatto per far passare la proposta, gli emendamenti soppressivi prevalgono con 34 voti di scarto. Tralasciando i 19 astenuti di Italia Viva, risaltano gli assenti nel centrodestra, 16 di Forza Italia, 26 della Lega e 3 anche in Fratelli d'Italia. I parlamentari in missione sono rispettivamente 7, 13 e 1. Una manciata di assenti, poi, anche in Coraggio Italia. Tuttavia, Giorgia Meloni evidenzia il segnale di compattezza. Il voto in Aula, quantomeno, «dimostra che sulle grandi domande nel centrodestra c' è convergenza. Il segnale è stato buono. Sul resto, però, vedremo».

 

 

LA BATTAGLIA CONTINUA - Poi, la Meloni se la prende con i giallorossi: Vogliono continuare con i giochi di palazzo perché hanno paura che non eleggerebbero chi vogliono loro». Tuttavia, dice, «si sappia che Fratelli d'Italia continua questa battaglia. Alle queste politiche chiederemo il voto degli italiani anche per questo». Il capogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia Francesco Lollobrigida attacca: «Spiace che la sinistra abbia perso un'occasione importante per schierarsi dalla parte degli italiani». Il vicepresidente di Montecitorio Rampelli va giù duro, accusando Pd e Movimento 5 Stelle di essere "golpisti bianchi". Replica del dem Fiano, che, per gettare il sale sulla ferita delle assenze nel centrodestra, invita Rampelli: «Non guardi i banchi di fronte a lui, ma si giri verso quelli a lui più». E così, rispettando la tradizione recente, anche questo voto sulla modifica della Costituzione finisce in uno scontro politico ad alta intensità. 

 

 

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