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Giuseppe Conte, "nuova sigla all'opposizione": pronto a mollare Letta e Di Maio? Gira un sondaggio...

Fausto Carioti
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Le parole di Giuseppe Conte suonano come una minaccia: «Ci sarà la risoluzione e noi daremo un contributo, ovviamente per mettere nero su bianco la nostra posizione. Confidiamo che gli altri votino la nostra risoluzione». La minaccia non è tanto per Mario Draghi, il quale ripete ai leader della maggioranza che lui ha una vita che lo attende fuori da palazzo Chigi, e dunque se vogliono farla finita col governo è un problema loro. Ma per Enrico Letta. Il segretario del Pd si sta impegnando per evitare proprio quello che Conte promette di fare: ossia che il 21 giugno, giorno in cui il premier riferirà in aula sulla cessione delle armi all'Ucraina e le altre scelte legate alla guerra, si voti una risoluzione in cui il M5S mette «nero su bianco» la propria posizione, contraria all'invio di quegli armamenti. Una scelta che segnerebbe la fine: forse del governo, di certo dell'asse giallorosso.

 

 


Maria Domenica Castellone, capogruppo dei Cinque Stelle al Senato, ha già avvertito gli alleati di sinistra che i suoi accetteranno un testo condiviso col resto della maggioranza solo a certe condizioni: «Se in quella risoluzione c'è anche un accenno alla parola "armi", non la votiamo». Aumentando così le fibrillazioni nel Pd e negli altri partiti progressisti. Queste sigle attendono con apprensione pure il momento in cui dovrà essere votato il nuovo "decreto Aiuti", all'interno del quale c'è la norma che dà a Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, il potere di approvare la costruzione dell'inceneritore capitolino, ritenuta da Conte «una scorrettezza gravissima nei confronti del movimento Cinque Stelle». Una sofferenza alla volta, però. Prima ci saranno le comunicazioni di Draghi sulla crisi ucraina. Matteo Renzi ha già distribuito gli inviti: «Il 21 giugno non prendete impegni. È il giorno in cui i grillini tenteranno l'assalto contro Draghi in Senato».

 

 


Sembra un messaggio a Conte, ma è rivolto a Letta: il capo del M5S è il tuo alleato, se finisce male non dire che non eri stato avvisato. Messaggio superfluo, peraltro. Al Nazareno la situazione è così chiara che Letta non riesce più a trovare argomenti per convincere i dirigenti del suo partito della bontà dell'alleanza con i Cinque Stelle. Per questo i suoi uomini hanno chiesto ai "contiani" di non riversare il malumore nella risoluzione che sarà votata al termine delle comunicazioni del premier, e di accontentarsi di un generico ordine del giorno. Non è una differenza lessicale, sono atti d'indirizzo diversi e il secondo è meno vincolante (come dicono a palazzo Madama, «un ordine del giorno non si nega a nessuno»). Richiesta respinta, però. Tutto ciò che Conte ha dato ieri è la solita garanzia, alquanto vaga, che il M5S manterrà una «collocazione euro-atlantica».

 

 

Per il resto, nessuna certezza: «Non abbiamo ancora scritto la risoluzione», fa sapere l'ex premier. Resta così la spaccatura nel movimento: mentre Conte non smentisce le intenzioni che gli attribuisce Renzi, alla Camera Luigi Di Maio, nelle vesti di ministro, ribadisce il «sostegno a Kiev sul piano umanitario, ma anche della difesa», ossia degli aiuti sotto forma di armi. La posizione di Conte potrebbe inasprirsi ulteriormente per altre ragioni: dal 7 giugno in poi il tribunale di Napoli dovrà decidere sulla validità dello statuto del M5S, e dunque della sua leadership. Se dovesse andargli male, molti tra i grillini si aspettano che il giurista pugliese reagisca rompendo definitivamente con l'area di Di Maio e col governo. Magari lanciando una nuova sigla col proprio nome nel simbolo, che come primo gesto si collocherebbe all'opposizione. I sondaggi, che danno il M5S al 13% e il gradimento per l'operato personale di Conte al 32% (secondo leader dietro Giorgia Meloni), lo spingono in questa direzione.

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