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Giorgetti, stop a Zaia e Fedriga: complotto contro Salvini? Cosa sta succedendo davvero nella Lega

 Giancarlo Giorgetti

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Per svelare che cosa ci sia in queste ore nella testa di Giancarlo Giorgetti bastano due parole: fedeltà e tormento. Fedeltà a Salvini malgrado le maldicenze che si accumulano intorno al ministro dello Sviluppo e numero due della Lega, di volta in volta indicato dal giornalismo pigro e militante come colui che trama per rottamare la leadership di un Matteo stordito e sottoposto a un feroce “linciaggio” per via della scappatella pacifista russa appena abortita. GG, guai a dimenticarlo, resta pur sempre un leninista padano e invecchiando –la frezza bianca sulla capigliatura va allargandosi di pari passo con le sue fatiche – diventa sempre più simile a Umberto Bossi: il Carroccio viene prima di tutto, il suo capo si può criticare fra le pareti domestiche con lingua ruvida o coram populo con modi felpati; e tuttavia non si tocca fintantoché il suo popolo e la sua classe dirigente lo sostengono. Perfino quando sbaglia, attirandosi l’accusa di tramare nuovamente con Giuseppe Conte per destabilizzare il governo o di fiancheggiare suo malgrado gli interessi di Vladimir Putin.

 

 

ANTICIPARE LO SCENARIO
Cade in errore, inoltre, chi sostiene che Giorgetti appartenga ormai a un immaginario partito di Mario Draghi, casomai è quest’ultimo che si sta progressivamente “giorgettizzando”: di qui la frase sul premier che «ne ha le scatole piene» sfuggita al ministro l’altro giorno… fedele interprete, lui, d’una linea di buon senso elementare e insofferente anzitutto verso le mattane grilline, prima ancora che nei confronti dei quotidiani testacoda salviniani. Chi ha buona memoria ricorda uno scambio di battute tra GG e Giorgia Meloni risalente alla primavera del 2018, quandola Lega stava per imbarcarsi nel governo con il Movimento Cinque stelle e i Fratelli d’Italia per qualche ora sono stati (sgraziatamente) corteggiati da Luigi DiMaio. GG a Giorgia: «Che fate, ci state pure voi?». Giorgia a GG: «Mai nella vita al governo con Grillo». GG sconsolato: «Beati voi…». E ancora. Fu sempre Giorgetti, nell’estate del 2019, quella del Papeete, a convincere Salvini che era giunto il momento di rompere con il partner inaffidabile e andare al voto con gli alleati naturali di centrodestra, garanti il Pd e il Quirinale e la Casa Bianca. Ma poi è andata come è andata… E arriviamo dunque al tormento. GG è consapevole che su Matteo grava una sorta di damnatio sovranazionale che lo terrà fuori da Palazzo Chigi e lontano dal protagonismo dei tempi d’oro. Il dossier russo-ucraino c’entra e non c’entra, anche se negli auspici giorgettiani sarebbe stato opportuno mantenere un profilo più basso, muoversi appunto con misurata diplomazia e limitarsi semmai a far da eco agli appelli pacifisti di Bergoglio.Ma il punto dolente della questione è un altro e riguarda ciò che a Giorgetti sta veramente a cuore: la Padania, riserva aurea di consenso e governo locale.

 

 

Ed è proprio dal nord che, sondaggi alla mano, sta per giungere sulla testa del Carroccio una scoppola alle prossime amministrative, aggravata peraltro dal mancato quorum referendario sulla giustizia. Si prevede un tasso di astensione altissimo nei Comuni fino a ieri giudicati inespugnabili, si moltiplicano le voci di scontento e le richieste di un redde rationem pubblico per mettere a nudo la sopraggiunta inadeguatezza di una leadership ormai consunta. Se così fosse, la tenaglia fatale su Matteo si chiuderebbe dal basso di un voltafaccia elettorale rivolto come un monito a tutta la Lega: stavolta vi puniamo dentro casa; se non cambia musica, alle Politiche del 2023 sarà un bagno di sangue.

 

 

IL PARTITO PRIMA DI TUTTO
GG lo sa e ne soffre, nessuno come lui sa auscultare la propria gente. Compreso il torinese Paolo Damilano che ha preso congedo dal populismo di Salvini non certo su suo mandato ma, questo sì, dopo aver pianto sulla sua spalla senza però trovare chissà quale resistenza. Perché Giorgetti è fatto così: fatalista e meccanico come il moto della risacca ondosa, le cose che accadono dovevano accadere. Ma che cosa succederà, di qui a qualche mese? Non esiste alcun 25 luglio in vista, poiché la classe dirigente salviniana dice male di lui in privato ma in pubblico non ha coraggio né convenienza a metterlo in discussione. E il “Partito dei governatori”, la cosiddetta ala governista rappresentata da Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, è priva d’un progetto alternativo allo status quo. Zaia signoreggia come un doge nel suo Veneto e gli basterà mantenere la golden share sugli equilibri interni e le candidature che verranno. Fedriga non uscirà dal feudo friulano prima di aver debitamente irrobustito un physique du rôle ancora di là dal venire. Sicché, quando sarà il momento di raccogliere i cocci delle prossime sconfitte e sfamare la ricerca del capro espiatorio, potrebbe essere proprio Giorgetti a raccogliere Matteo col cucchiaino e rammentare a tutti che un leader ammaccato, dimezzato e perfino messo collegialmente sotto tutela in una sorta di TSO politico, è sempre meglio di un caos esiziale per la Lega. Prima di tutto viene il partito, appunto, come insegna il leninista GG.

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