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Luigi Di Maio fuori dalla politica? Ecco il "piano" B dopo lo strappo col M5s

Francesco Specchia
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In attesa di capire cosa sarà di Luigi Di Maio, è quasi certo  il destino dei suoi fedelissimi: sette senatori "dimaiani" stanno per uscire dal Movimento 5 Stelle per formare un gruppo autonomo a Palazzo Madama, Manovra analoga in corso anche alla Camera, dove il manipolo degli uomini vicini al Ministro degli Esteri sarebbero oltre venti. Tutti intenzionati a sfiduciare formalmente il leader pentastellato Giuseppe Conte e allinearsi in toto con le politiche del premier Mario Draghi, di cui il capo della Farnesina è uno dei sostenitori più convinti. Di seguito, il retroscena di Francesco Specchia pubblicato su Libero martedì 21 giugno. 


Il "piano A" è rimanere ancorato alla poltrona di un dicastero dal quale sta saldamente costruendo il suo futuro. Un futuro, ovvio, sempre nei 5 Stelle. Anzi possibilmente solo al comando del Movimento il cui presidente Conte ora s' aggira senza pace dentro e fuori come uno spettro shakespeariano. Poi c'è il "piano B" che è quello di spiazzare la politica e osare ciò che solo Di Battista, ma con tutt' altro esito, ha osato fare: fermarsi un giro, magari uno solo. Chi, in queste ore, è riuscito ad entrare nella mente di Luigi Di Maio si è trovato di fronte ad attendismo assai tattico e di stampo democristiano. Di Maio potrebbe davvero fare una sosta; aspettare che la buriana si plachi e il M5S svanisca per autocombustione; per poi rientrare fiero e vendicativo, forse allungandosi verso quel "centro" draghiano con o senza Draghi e ambito da tutti, da Calenda a Toti alla Carfagna (e lì saremmo al "piano C", altamente improbabile) e ventilato in ogni proiezione elettorale. Il "piano B" di Di Maio è una suggestione, ma possiede solide basi. Di Maio ha 36 anni: è giovane di quella gioventù che in politica alimenta da sempre le carriere dei grandi moderati. Di Maio si è costruito, negli anni, un network pazzesco.

 

 


A COLPI DI NETWORK
Vicepresidente della Camera under 28, vicepremier, ministro del Lavoro e due volte ministro degli Esteri (in questa legislatura), capo assoluto del Movimento quando il Movimento contava ancora, apprezzate capacità di mediazione nonché di confondersi con le mura:Di Maio può - a sua stessa ammissione dal sen sfuggita- vantare contatti che possono renderlo indipendente in qualsiasi momento sia professionalmente sia elettoralmente sia atlantisticamente. Di Maio, in pratica è una sorta di reincarnazione di Pierferdy Casini schierato con Draghi sulla lunga linea dell'Occidente. È per questo che il Consiglio Nazionale dei 5 Stelle, ieri, non è riuscito ad espellerlo. Eppure un ministro che accusa con rara spietatezza Conte di «diseallinearci dalla Nato mettendo a repentaglio la sicurezza dell'Italia», be', in condizioni normali - ai tempi del Di Maio capo assoluto, per capirci l'avrebbero scuoiato vivo. Invece, il Consiglio grillino s' è limitato a puntualizzare «un più pieno e costante coinvolgimento del Parlamento con riguardo alle linee di indirizzo politico che verranno perseguite dal governo nei più rilevanti consessi europei e internazionali, inclusa l'eventuale decisione di inviare a livello bilaterale nuove forniture militari».

 

 


E Conte non ha proferito verbo; e ha lasciato che contro Di Maio si esprimesse l'avversario storico Roberto Fico: «Siamo arrabbiati e delusi. Non riesco a comprendere che il ministro degli Esteri Di Maio attacchi su delle posizioni rispetto alla Nato e all'Europa che nel Movimento non ci sono e non se ne dibatteva prima». «Non c'è nessun Conte-Di Maio, state sbagliando prospettiva», ha aggiunto il presidente della Camera, «l'unica cosa che c'è è, al massimo, Movimento-Di Maio, perché attaccare il M5S su posizioni che non sono in discussione dispiace a tutta la comunità del Movimento. È questo il punto». In realtà è solo uno dei punti di questa guerra intestina a bassa intensità tra pentastellati. Di Maio è come il Paradiso di quel vecchio film: può attendere. E questa è la sua vera forza. Gli altri colleghi, visto il risultato personale di livello subatomico - il voto di lista del M5S al 2,5%- possono attendere meno. Molti hanno la consapevolezza che verranno spazzati dal vento della Storia. Di Maio ha la consapevolezza che a lui non accadrà. Eppoi c'è la questione della leadership. Di Maio, in Parlamento, la esercita in modo sottile e risoluto (rispetto a Conte, ovvio). Controlla la maggioranza dei gruppi parlamentari del Movimento, compresa la quasi totalità di quelli campani, siculi e pugliesi.

 

 


MODERATISMI
Scambia idee, battute e strategie nell'ambito di uno schema che passa dal moderato al progressista (leggi le garbate frequentazioni con Brugnaro, Toti, Nardella, Sala, Bonaccini). Di Maio ha la leadership e, dopo tutto questo clamore, si rinchiude nel silenzio istituzionale del miglior Andreotti. Non prima di essersi lasciato andare a una precisa dichiarazione: «I dirigenti della prima forza politica in Parlamento, invece di fare autocritica, decidono di fare due cose: attaccare, con odio e livore, il ministro degli Esteri e portare avanti posizioni che mettono in difficoltà il governo in sede Ue. Un fatto molo grave». Punto. La faccenda si chiude qui. Poi Gigino si lascia sfuggire con i suoi che, al limite, sarà Conte ad andersene, a farsi il suo Movimento. Il "piano A" è la barra a dritta. Ma nemmeno il "piano B", in fondo, è da disprezzare... 

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