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Enrico Letta, le indiscrezioni sull'ammucchiata fanno esplodere il Parlamento

Elisa Calessi
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Il Pd non sceglierà tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. O almeno proverà a non farlo. Aspetterà che le ferite si rimarginino, che ciascuno faccia la propria strada. Poi, a ridosso del 2023, proporrà un'alleanza che tenga insieme tutti. Da Di Maio a Conte, passando per Matteo Renzi e Carlo Calenda. Per contrastare "le destre" e in nome di un collante che, almeno per ora, li tiene insieme: l'esperienza del governo Draghi. Anche perché non c'è scelta, se non mettere insieme quanti più soggetti possibile, tanto più ora che l'alleato privilegiato rischia di scomparire.

Il giorno dopo la scissione del M5S, di fronte allo spaesaemento che l'onda lunga del terremoto grillino ha generato pure in casa dem, la complicata via tracciata da Enrico Letta è questa. «Sul campo largo», ha detto a Porta a Porta, «sono abbastanza sereno, come Pd abbiamo una grande responsabilità: mettere in campo un'idea di Italia per i prossimi cinque anni. Dobbiamo poi condividerla con gli alleati. Rifiuto l'idea che si debba partire dalle alleanze, così ho parlato di campo».

 

CONSIGLIO NON SEGUITO
Alleati, non più alleato. Alla domanda se il Pd sia più vicino a Conte o a Di Maio, Letta si sottrae: «Nel Pd si è più vicini al Pd. E il Pd reagisce assumendosi la responsabilità di essere ancora più forte e produttivo».

Del resto, osserva con una certa autoironia il segretario del Pd, «noi abbiamo una certa esperienza di scissioni». E dunque sa che, quando la ferita è fresca, è meglio non trarre conclusioni. Come si dice al Nazareno, di fronte a una rottura «c'è bisogno di tempo per metabolizzare, per rimarginare le ferite, superare incomprensioni e rancori personali». Aveva provato, Letta, a suggerire un'altra strada: «Ho parlato con Conte e Di Maio», rivela nel salotto di Bruno Vespa, «e, avendo un rapporto positivo con entrambi, mi è capitato di dire che essere uniti è un valore». Ma non lo hanno ascoltato.

Certo non è semplice la strada tracciata. Bisogna vedere se gli altri accetteranno di stare tutti insieme. Al momento i veti reciproci sono tanti quante le sigle. Ma la scommessa è che, di fronte alla legge elettorale, prevalga la necessità. Vero è che il clima tra i dem, ieri, era funereo. È evidente il rischio, diceva un dirigente dem, di «avere davanti più che un campo largo, un campo di macerie». Il timore, poi, è di regalare Di Maio al centro, rimanendo schiacciati a sinistra. Tanto più se l'operazione del ministro degli Esteri dovesse decollare, coinvolgendo Beppe Sala e pezzi di partiti di centrodestra. Tutte considerazioni che Letta ha ben presente, non a caso si è ben guardato dal farsi trascinare nella disfida tra Di Maio e Conte: «Nessuno prenda le parti dell'uno o dell'altro».

 

Fortuna vuole che dal Quirinale in poi abbiamo mantenuto buoni rapporti con entrambi, forse intuendo che la coabitazione non sarebbe durata a lungo («Era un po' che la situazione era tesa. Diciamo che non mi ha colto di sorpresa», ha detto). La linea, per ora, non cambia. Resta quella, come dice Enrico Borghi, suo fedelissimo, di «costruire un'alleanza di governo riformista, progressista, ambientalista ed europeista. E rivolgersi a tutti coloro che condividono questo percorso». E all'obiezione che Conte non accetterà mai di stare nella stessa alleanza con Di Maio, la risposta è che «non esiste il "mai" in politica. E questa legislatura ne è la prova».

IL FANTASMA DELL'UNIONE
Anche la minoranza interna condivide la linea. «Oggi», spiega a Libero Alessandro Alfieri, portavoce di Base Riformista, «siamo con tutti e due, Di Maio e Conte, a sostenere il governo Draghi, a dimostrazione che se c'è la volontà politica si può fare tutto». Scegliere tra i due «sarebbe sbagliato. Si dialoga in termini di pari dignità con tutti quelli che vogliono costruire un'alternativa ai sovranisti». Poi, certo, le sfumature tra i dem sono diverse. «I nostri interlocutori», diceva Andrea Marcucci, «devono essere: Calenda, Renzi, Di Maio, la sinistra. Per me nessun veto: chiederei anche a Conte cosa voglia fare». E faceva notare che all'evento di chiusura a Lucca saranno, sullo stesso palco, Calenda e Letta. Un conto, però, è farlo a Lucca, altro in tutta Italia. Azione ha già detto che non è della partita. Più cauto è Renzi che si tiene aperte due opzioni: un soggetto centrista con Sala e Di Maio o l'alleanza con il Pd. C'è solo un'avvertenza, come osservava Pierluigi Bersani: evitare che il campo largo somigli all'Unione, più che all'Ulivo. Esperienza, quella, che nessuno ricorda con nostalgia.

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