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Giuliano Amato premier, di chi è la mano dietro alla manovra nell'ombra

Francesco Specchia
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Signori e signore, ancora una volta, a grande richiesta: amor che nullo Amato. La scena è quasi cinematografica. Crolla il governo, il mondo intero ci osserva in tralice, la truppa di Conte sembra la setta del reverendo Jones impegnata nel suo suicidio di massa nella Guyana del 1978. E, da un lato Mario Draghi, con la solita sofferta eleganza, s' issa al Quirinale per le proprie dimissioni (il più icastico dei titoli è l'apertura di Dagospia, «Avete rotto il cazzo»); dall'altro lato, ecco stagliarsi, in un seppiato piano sequenza, la figura antica di Amato che scende le scale della Corte Costituzionale, di cui è il presidentissimo. Presidentissimo, ma in scadenza. A settembre. Spunta dunque, già archiviato frettolosamente Draghi, l'ipotesi Giuliano Amato come traghettatore d'un prossimo governo, come presidente del Consiglio a nolo, come temporaneo supplente della Repubblica, come Talleyrand di Palazzo Chigi. Chi più di lui. E si sussurra che, col passo felpato che l'ha reso da sempre un boiardo inafferrabile Amato possa essere fortemente tentato dal potercela fare. La Presidenza del Consiglio è là, a due passi, sicuramente più vicina della Presidenza della Repubblica della scorsa tornata elettiva quando con 505 parlamentari di quorum, il suo nome venne evocato a più riprese, ma soltanto per essere inghiottito dal ritorno di Mattarella. Dunque, riecco Amato. Come riferisce al quotidiano Repubblica un'«autorevole fonte 5 Stelle», sarebbe stato Massimo D'Alema a fargli da talent scout e da spin doctor: a muoversi negli anfratti delle istituzioni; ad avere contatti perfino con Giuseppe Conte e esponenti della Lega (qualcuno azzarda che Max abbia parlato direttamente con Matteo Salvini) per verificare la praticabilità di «un nuovo governo fino al termine della legislatura». D'Alema, del resto, non è la prima volta che si spenderebbe per l'amato Amato: avvenne già ad inizio 2022 con la possibilità di candidare -si diceva- il Dottor Sottile alla Presidente della Repubblica post-Mattarella. Appresa però, questa volta la notizia dal quotidiano di Molinari della prepotente emersione del suo nome in caso di fallimento dell'esperienza Draghi, Amato in persona è intervenuto.

 

 

 

TAGLIENTI NOTE

E ha spiegato in una breve nota quanto tale notizia sia «falsa e infondata», aggiungendo di essere «totalmente fuori da queste vicende». E, c'è sicuramente da credergli. Anche perché, per esperienza, conosciamo la forza contundente delle taglienti note del professore, specie in sede giudiziaria. «Tu devi sapere, mio buon amico, che c'è una sola carica a cui io tengo... Presidente è giusto, della Repubblica sbagliato. La risposta corretta è presidente del Tennis Club di Orbetello», scrisse delle ambizioni di Amato Tommaso Labate sul Corriere della sera. Lo scrisse in un pezzo che di Amato descriveva le movenze e strategie da tennista silenzioso; e, al contempo, da perenne riserva della repubblica. Eppure, nello stesso ritratto, il Corriere ammetteva l'eterna e invincibile influenza di Amato sulla politique politicienne che lo stesso Amato avrebbe abbandonato da decenni: «I contatti sotterranei che gli vengono attribuiti - in qualche caso a ragione, in altri a torto - hanno comunque consentito all'ex presidente del Consiglio di conoscere e farsi conoscere di persona da tutti quelli che ancora non c'erano quando nel proscenio della politica nazionale c'era lui: da Giuseppe Conte a Matteo Salvini, passando per Luigi Di Maio». Se tutto questo è accaduto solo pochi mesi fa, nulla vieta a ripensarne il modello in funzione suppletiva per Palazzo Chigi. Con tutto il rispetto, voglio vederlo Daniel e Franco, attua l e ministro dell'Ec onomia e altro papabile candidato Presidente del Consiglio (almeno fino alla messa a terra delle legge di Bilancio), avere a che fare con Macron; o mettersi a livello di Biden; o battere pacatamente i pugni sul tavolo con Putin. Amato - bisogna ammetterlo- possiede un altro standing. Eppure, nel delirio della crisi, il nome di Amato resta lì, convintamente appeso alle buone intenzioni di civil servant. È che, nelle crisi, spunta sempre il suo potente curriculum. E Amato, il collezionatore implacabile di cariche illustri (dalla presidenza del Consiglio a quella della Treccani), oppone sempre un diniego (con riserva) alle nomine che sembrano planargli addosso sempre per caso. Per dire. È accaduto, recentemente, anche, per l'appunto in merito alla massima carica giudiziaria della Consulta: Amato si era allontanato dalla candidatura, almeno finché non aveva avuto la certezza che al Quirinale non ci sarebbe salito qualcun altro. Amato -ricordano i suoi biografi- possiede una doppia abilità. Una sta nel capire sempre un secondo prima quand'è l'ora di farsi da parte. Accadde, per esempio, da Presidente del Consiglio in carica, quando prese la decisione di ritirarsi dalla competizione con Francesco Rutelli perla leadership del centrosinistra alle elezioni del 2001. L'altra abilità consiste nel risplendere d'una apparente sobrietà, in modo talmente efficace da indurre, negli elettori, l'oblio per i suoi risvolti più controversi: dal prelievo - forzoso, come premier, nottetempo- il 10 luglio 1992 dai conti correnti degl'italiani alla megapensione da record (che costò a Mario Giordano che la denunciò in un libro sottoposto, in seguito all'incazzatura di Amato, a una faticosissima rettifica), fino allo spiazzante voltafaccia durante il declino di Craxi di cui Amato era il fedele - ma non fedelissimo - scudiero, nell'era Tangentopoli. Dunque, Amato premier per evitare il rinculo dei mercati e lo sfarinamento delle alleanze internazionali?

 

 

 

COME ZOMBIE

Non ci sono reazioni, nel bene o nel male, a questa fascinosa ipotesi. L'unico scatto è quello registrato da Nicola Morra su Facebook: «D'Alema starebbe sondando Conte e Salvini per capire se si possa fare nascere un esecutivo con Amato Presidente del Consiglio che ci porti alle elezioni a scadenza naturale della legislatura. D'Alema... Amato... Zombies si diceva? E qualcuno ha resuscitato questi testimoni del '900!». Ma il senatore ex Cinque Stelle Morra non conta, è un oramai un ologramma nell'agone politico. Certo, dal punto di vista antropologico, è interessante osservare anche il ruolo cocciutamente strategico di D'Alema. L'ex Baffo di ferro, dalle armi alla Colombia ai suoi contatti internazionali con l'immarcescibile Fondazione Italiaeuropei, continua a vivere la sua pensione in una sorprendente incrostazione di potere. Che, notoriamente, logora chi non ce l'ha. Ovviamente non è il caso di Amato, il nostro immortale preferito... 

 

 

 

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