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Gabriele Albertini: "Draghi? Ecco cosa ci hanno insegnato dai Gesuiti"

Gabriele Albertini
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«Ho letto da qualche parte che Mario Draghi, poche ore dopo la sua elezione alla presidenza della Bce, su designazione del governo Berlusconi, incontrò un giornalista nei pressi di Palazzo Grazioli, residenza romana dell'allora presidente del Consiglio. «Sta andando da Berlusconi per ringraziarlo?», domandò il giornalista; la risposta fu sconcertante: «No! Sto andando a trovare padre Rozzi, gesuita, mio professore al Liceo ed anche mio padre spirituale...». Anche in altre circostanze, il già governatore della Banca d'Italia, già Presidente della Banca centrale europea ed attuale, anche se, almeno per ora, dimissionario presidente del Consiglio, ha ribadito, più volte e con gratitudine, il suo profondo legame con la scuola della Compagnia di Gesù: l'Istituto Massimiliano Massimo, frequentato dalla IV elementare alla maturità classica, conseguita nel 1965. Se è vera l'affermazione attribuita ad un padre Gesuita: «Datemi i primi 7 anni di vita di un bambino e vi mostrerò l'uomo», potrebbe ben dirsi che Mario Draghi sia un "Gesuita dalla tonaca corta", come si dice degli ex alunni dei Gesuiti, come Lui, di lungo corso. Vediamo perché. «È rimasto il ragazzo di sempre: ha avuto una carriera notevole, ma ho sempre visto in lui il volto di una persona che il potere non ha cambiato», confidò proprio padre Rozzi S.J., dopo averlo incontrato, quando il Suo ex allievo era ormai in ruoli di eccezionali responsabilità e destinati ad influenzare la vita di milioni di persone.

 

 

 

PENSIERO CRITICO

In occasione della morte del suo educatore, scrisse sull'Osservatore Romano, ricordando l'insegnamento di P. Rozzi S.J.: «La responsabilità di compiere al meglio il proprio dovere non è solo individuale ma sociale, non è solo terrena ma spirituale». Todo modo para buscar la voluntad divina. S. Ignazio di Loyola ed i suoi seguaci, in veste di educatori, sembrano, davvero aver persuaso il discepolo, Mario Draghi, alla «responsabilità di compiere al meglio il proprio dovere» con implacabile determinazione, anche in circostanze e in compiti non prettamente religiosi o spirituali, come ad esempio governare il proprio Paese. Il tutto con il «dovere dell'intelligenza», l'esercizio del «pensiero critico», nell'affrontare situazioni complesse e decisioni delicate... con diplomazia, con sensibilità psicologica: «Suaviter in modo, fortiter in re», senza inutili e dannosi sfoghi d'insulsa arroganza. S. Ignazio descrisse il perfetto gesuita come colui che «vive con un piede sempre levato», sempre pronto a reagire alle opportunità che si presentano, fare piazza pulita di abitudini sclerotizzate e pregiudizi e, soprattutto, essere «indifferenti», per il potere e il denaro, ma certamente, anche, non avendo paura del buon uso che se ne può fare, quando si dispone dell'uno e dell'altro... "Whatever it takes" e altro, che ha detto e soprattutto fatto, Mario Draghi. E infine quell'indifferenza, quel no tener afeccion, è sempre S. Ignazio che lo consiglia, anzi lo impone: a non essere soggetti a quell'"attaccamento" al potere in sé che, in una democrazia, priva di significato il motivo per cui lo si riceve e perfino la legittimazione a riceverlo: per volere il bene perché "bene comune" e non il "proprio bene" perché "proprio". Credo che Mario Draghi sia l'unico presidente del Consiglio che si sia dimesso, pur con una cospicua maggioranza parlamentare che gli ha votato la fiducia, solo per aver riscontrato una grave incoerenza coi programmi di governo, di una forza politica, fino a poco prima schierata a sostegno dell'esecutivo! Davvero sta vivendo questa esperienza di Governo "col piede levato" e todo modo para buscar la voluntad divina! S. Ignazio lo sta guardando, con soddisfazione! Concludo con un ricordo: il primo incontro che ebbi, appena eletto sindaco di Milano, con il cardinale Martini, anche lui, come Mario Draghi e, per quanto mi riguarda, con risultati decisamente inferiori, anche il sottoscritto, ex alunno dei gesuiti e poi, prima dell'Episcopato, Padre Il presidente del Consiglio Mario Draghi, classe 1947, ha studiato al prestigioso liceo dei padri Gesuiti Massimiliano Massimo di Roma, che ha forgiato buona parte della classe dirigente italiana. Draghi ha conseguito la Maturità classica nel '65, era nella sezione B gesuita egli stesso, di fronte al mio sconcerto per quello che mi stava accadendo, quasi senza averlo veramente voluto e desiderato e provenendo da un mondo così lontano dalla politica, quello dell'impresa, cercò di confortarmi: «Questo è il momento gioioso della vittoria, del consenso, i suoi collaboratori saranno felici d'essere in questo luogo ed in ruoli così importanti: il governo della seconda città d'Italia. Ma poi arriveranno le critiche, le invidie, le gelosie, i tradimenti, lei soffrirà per questa responsabilità. Per quello che sento, non è una persona che possa adattarsi a realtà diverse da lei, senza risentirne, perchè non si adegua a questo mondo fatto, necessariamente di compromessi, di dissimulazioni, di finzioni. Lei crede in quello che pensa e fa quello che dice... ma solo... fino a quando potrà farlo. In questo senso, mi sento di dire, che non so se il ruolo che ricopre è fatto per persone come Lei». Potremmo dire un ... "conforto" un po' ruvido: la convinzione, condivisa anche da me, che fossi "un pesce fuor d'acqua".. "non adatto"... ma poi volle aprirmi il suo animo e mi disse: «Guardi che lo stesso è successo anche a me, perchè non volevo questa immensa responsabilità. Sono un uomo di studi, Rettore dell'Università Gregoriana, un uomo che ama il silenzio della riflessione, della concentrazione per interpretare un testo biblico, che voleva concentrare le proprie frequentazioni ai pochi studenti d'elite di quella scuola. Poi, di colpo, mi sono trovato ad avere la responsabilità di questa importante diocesi. Queste parole mi furono di stimolo e di conforto» e mi citò, prima in latino, poi traducendola, questa frase dal De Civitate Dei di S. Agostino: «L'amore della verità richiede un santo raccoglimento, l'esigenza dell'amore intraprende un giusto lavoro. Se nessuno impone questo peso, ci si deve applicare all'intelligenza e alla contemplazione della verità. Se poi viene imposto, bisogna accettarlo come esige il dovere della carità».

 

 

 

DOVERE DELLA CARITÀ

Mario Draghi accetterà, se viene imposto, come esige il dovere della carità, di rimanere il nostro Presidente del Consiglio? Rispondo con le Sue parole, pronunciate, ricordando ciò che gli era stato insegnato dai Gesuiti: «... Che avevamo un compito, nella vita, che, poi, nel futuro, la cultura, la fede, la ragione ci avrebbero rivelato». Ora mi rivolgo al Presidente con il "Tu" di un ex alunno ad un ex alunno: «Caro Mario, è questo il momento in cui la cultura, la fede, la ragione, ti riveleranno il tuo ulteriore compito, non trascurare, nella riflessione, un altro insegnamento dei nostri educatori, occorre essere "rigidi nei principi ma duttili nei comportamenti"..."come esige il dovere della carità!"».

 

 

 

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