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Alessandro Morelli contro la Rai: "I giornalisti sembrano candidati Pd"

Pietro Senaldi
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«Se guardo i sondaggi, mi metto tranquillo». Alessandro Morelli è un po' il termometro, un po' il megafono della Lega di Salvini, che è partito solido e compatto, come dimostrano anche le recenti cronache; ma se c'è una Lega più Lega delle altre, è quella dell'ex direttore della radio di partito, cresciuto politicamente insieme al leader del quale, anche anagraficamente, potrebbe essere il fratello minore. Un fedelissimo precettato sempre per le sfide in salita, spedito prima a tenere alta la bandiera leghista sul fronte della Rai, viste le sue inclinazioni professionali, e poi in montagna, per così dire, a gestire il dossier delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, in qualità di viceministro delle Infrastrutture, più che una poltrona, una patata bollente, visto che il titolare del dicastero è quell'Enrico Giovannini che opera concretamente nel consiglio direttivo dell'Ong Save the Children, quella che contribuisce a riempire il centro d'accoglienza di Lampedusa, prodigandosi perché più immigrati possibili entrino in Italia illegalmente e vi sostino. A Morelli piacciono le frasi a effetto, tant' è che le televisioni lo chiamano spesso per movimentare i talkshow, ma quella sui sondaggi che arriderebbero alla Lega non pare esserlo.


Onorevole, la sua frase è in controtendenza: al momento nei sondaggi butta maluccio per la Lega...
«Sono un leghista di lungo corso e mi conforta l'esperienza. Alle Europee del 2014, quando Salvini aveva appena preso in mano il partito, eravamo dati per morti, dicevano che non avremmo superato la soglia di sbarramento del 4%, invece poi abbiamo ottenuto il 6. Ma anche cinque anni dopo, nelle trionfali consultazioni del 2019, alla vigilia eravamo dati sei punti sotto il 34%. Quanto al raffronto con le Politiche, i sondaggi che oggi ci danno al 14%, cinque anni fa ci stimavano al 12; perciò, se la proporzione è rispettata, potremmo andare meglio quest' anno rispetto alle elezioni del mitico sorpasso su Forza Italia».


Per la serie l'ottimismo è il sale della vita...
«Non è ottimismo, è una contro-narrazione rispetto a quella fornita dai giornaloni e, ahinoi, dalla tv di Stato. Solo che loro raccontano un sacco di fregnacce, per dirla alla romana, io mi attengo alla realtà. Abbiamo letto per tre mesi di una Lega spaccata, con i governisti e i governatori pronti a una fronda anti-Salvini. E poi? Abbiamo sempre votato tutti la fiducia al governo Draghi, finché è durato, e quando si è dissolto non uno solo di noi è passato dall'altra parte».

Frecciata agli alleati di Forza Italia?
«Nessuna frecciata, ma i nostri ministri non hanno lasciato la Lega. C'erano gli scissionisti di Di Maio e lo sfracello 5Stelle, però quelli litigiosi e divisi, secondo il mainstream, eravamo noi.
Le dirò di più: da inizio legislatura hanno cambiato casacca metà dei parlamentari, parliamo di poco meno di cinquecento persone, ma non uno della Lega. Noi siamo partiti in 183 nel 2018 e tanti siamo rimasti; anzi, cresciuti perché in tanti hanno bussato alla nostra porta. In questi cinque anni è accaduto l'inenarrabile ma noi siamo sempre i soliti, sereni e tranquilli».

Per quanto bene possa andare nelle urne e per quanto la Lega sia un Eden, causa riduzione di un terzo dei parlamentari la compilazione delle liste sarà una mattanza a questo giro. Ci dobbiamo aspettare sorprese clamorose?
«Penso proprio di no, anche su questo la Lega è una certezza, le liste vengono compilate da decenni allo stesso modo: i segretari regionali propongono le candidature dal territorio e queste vengono condivise con il segretario, che ha l'ultima parola. Non essendoci appunto reali divisioni nel partito, sono convinto che tutti i big che lo vorranno saranno ricandidati».

È soddisfatto dalla fine del governo Draghi?
«No, io sono un viceministro di Draghi. Noi della Lega abbiamo dato il sangue per questo governo».


Eppure venite dipinti come i rompiballe del governo, nonché quelli che alla fine l'hanno fatto cadere...
«Questo le dice il livello di falsità che ha raggiunto la stampa italiana. Quando è stato deciso di varare un governo di unità ed emergenza nazionale, la Lega ne ha preso atto e si è comportata di conseguenza, accettando di collaborare con partiti dai valori i più distanti dai nostri, e ne ha sopportato il prezzo. Abbiamo ammainato le nostre bandiere e ci siamo concentrati su quel che andava fatto: cacciare Arcuri, uscire dal Covid, avviare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Altri, e mi riferisco al Pd, non hanno giocato per la squadra e hanno continuato a spingere sui loro temi identitari, che nulla c'entravano con l'agenda Draghi, come lo ius scholae e la legge Zan e la liberalizzazione della droga. Sono stati i dem a disseminare trappole sul percorso del governo».


Alla fine però si sono sfilate Lega e Forza Italia...
«La non fiducia a Draghi arriva da Conte, che il Pd ha poi cercato di far rientrare provando a spaccare Lega e Forza Italia, come ha confessato perfino Renzi. Noi abbiamo chiesto in Senato a Draghi di continuare e come sola condizione abbiamo posto che M5S, che lo aveva messo in difficoltà e picchiava su temi irrealizzabili, fosse lasciato fuori dalla maggioranza. Ha scelto il presidente, secondo quello che riteneva, non noi. Aggiungo solo che il fiammifero sulla miccia l'ha messo il Pd, inserendo la vicenda del termovalorizzatore di Roma nel decreto Aiuti, pur sapendo che Conte si sarebbe opposto».

È contento comunque che l'esperienza sia finita?
«Vede, come dimostra la vicenda dell'inceneritore, il guaio di governare con il Pd - anzi, di fare qualsiasi cosa con il Pd - è che i dem non stanno mai ai patti. Tu ti scontri, trovi un accordo, magari concedi anche più di quanto ottieni, e il secondo dopo loro riprendono a chiedere: hai concesso cinquanta, loro pretendono sessanta, come fosse la cosa più naturale del mondo. Provano sempre a fregarti. Detto questo, forse è sfuggito che se la Lega non fosse entrata nel governo noi oggi avremmo le tasse sulla casa, la droga libera, l'immigrazione clandestina legalizzata. In questo anno e mezzo siamo stati il baluardo dell'elettorato di centrodestra».

Anche il governo Draghi ha finito per pendere a sinistra?
«È sempre così con i tecnici, partono dritti e poi svoltano. D'altronde, se come collaboratori ti prendi Garofoli, ex collaboratore di D'Alema, o Funiciello, che era il capo di gabinetto di Gentiloni e prima coordinatore della campagna referendaria di Renzi...».


Anche le ministre berlusconiane alla corte di Draghi alla fine hanno optato per pendere a sinistra...
«Sedotte dal governo dei migliori ora staranno con i migliori Speranza, Di Maio e Fratoianni, che brutta fine».

Si aspettava che Calenda tornasse nel Pd per poi mollarlo due giorni dopo?
«Sì, il suo obiettivo era distruggere il Pd e piano piano ci sta riuscendo. Meglio che sia successo così non potrà più ingannare nessun elettore di centrodestra. Ha dimostrato di essere inaffidabile».


La campagna elettorale è partita con un fuoco di fila incrociato su Lega e Fratelli d'Italia...
«Quando parlano, non si riesce a distinguere i candidati della sinistra dai giornalisti della Rai o di certi giornali...».


Ho visto, fanno passare Salvini per un boss della 'ndrangheta e la Meloni per un'antisemita...
«Quel che più mi scandalizza è il comportamento della Rai, l'informazione pubblica...».

Lei ha preso in mano il dossier Rai, cosa ne pensa?
«Penso che andrebbe aperta al mercato. Non dico privatizzarla al 100%, perché in teoria dovrebbe fare servizio pubblico, ma l'azienda non può continuare a essere gestita con il metodo Frattocchie».

Me la spiega?
«Giornalisti e autori Rai, per la maggior parte, vivono in una sorta di bolla. Essendo selezionati solo a sinistra, hanno i paraocchi rossi sul mondo e a noi della Lega in particolare ci vedono come il fumo negli occhi. Siamo l'obiettivo principale della tv pubblica, è provato dai dati: si occupano di Salvini solo per parlarne male ed è talmente connaturato nella loro mentalità che a volte neppure se ne rendono conto. La televisione di Stato è un salotto rosso nel quale per entrare bisogna avere la tessera; non più di un partito, ma di un club».

Ce l'hanno con la Lega perché la Rai è romana e la Lega nasce al Nord?
«Può essere una parte del problema, ma il punto è che la Rai di sinistra è una prassi consolidata da cinquant' anni, non si smonta in un giorno. Quel che però più mi dà fastidio è che il vezzo di infangare la Lega e il centrodestra poi si riflette sull'interno Paese, screditandolo. Il processo è inverso a quel che la sinistra racconta. Non è che all'estero pensano male della Lega o della Meloni, è che in Italia i giornali di sinistra ne parlano male al punto da farne un caso che desta l'interesse dei nostri partner Ue. Il punto è che, pur di parlare male di noi, si inventano ogni cosa; per esempio la minaccia che, se vince il centrodestra, l'Italia uscirà dalla Ue. Questo è un comportamento antipatriottico: delegittimare l'avversario e il Paese per trattenere qualche voto».

Mi sta dicendo che la stagione sovranista è finita?
«Se con sovranismo si intende l'uscita dell'Italia dalla Ue, è una stagione che non c'è mai stata. Se invece si intende la difesa degli interessi dell'Italia e dei cittadini italiani nel consesso europeo, così come la Germania fa con i tedeschi e la Francia con i francesi, è una stagione che deve ancora iniziare; e che può partire solo con il centrodestra al governo».

Uno slogan per questa campagna elettorale?
«Se ne vuole uno di coalizione dico che noi stiamo lavorando al programma e abbiamo già stilato i quindici punti fondamentali mentre la sinistra sta ancora litigando su seggi e poltrone».

Quello della sinistra è i difensori della democrazia contro i putiniani e i fascisti...
«Quella di fascismo è un'accusa grave, che andrebbe provata, e in mancanza di prove punita. Quanto al putinismo, c'è menzogna: noi siamo a favore della pace, non della Russia, abbiamo la stessa posizione della Germania. Peraltro mi pare che ora che siamo in campagna elettorale la sinistra si sia dimenticata degli ucraini. Forse teme di perdere voti cavalcando la guerra».

E uno slogan per la Lega?
«Torniamo all'inizio della nostra chiacchierata. Finiremo più alti di quanto ci danno i sondaggi perché gli elettori sanno che la Lega fa quel che promette, dalla lotta ai clandestini alla riduzione delle tasse alle pensioni. Abbiamo fatto quanto promesso e difeso le tasche e la dignità degli italiani». 

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