Caduto l'accordo con Calenda, si è riaperta, nel Pd, la partita dei collegi uninominali. E dei posti nel listino proporzionale. Questione che a raccontarla sembra tecnica, ma significa la possibilità di tornare in Parlamento oppure no. Questione, insomma, vitale. I nodi che Letta dovrà sciogliere nei prossimi giorni - concordare con gli alleati e poi, internamente, con le varie, agguerrite correnti - sono due. Il primo è rivedere le quote dei collegi da spartire con gli alleati. Ieri si è visto con +Europa, nei prossimi giorni dovrà vedersi con Verdi e Sinistra Italiana. È chiaro che, senza Calenda, i collegi da spartire sono di più. Anche se, in realtà, quelli sicuri sono di meno perché almeno 15, senza Calenda, sono persi in partenza. Nello stesso tempo è cresciuto il pressing interno delle correnti dem per essere meno "generosi" verso gli alleati e dare più spazio ai candidati dem. Un conto, infatti, era sacrificarsi per un alleato, Azione, che era decisivo per vincere alcuni collegi. Altro è farlo verso partiti che non saranno decisivi nel vincere nella sfida uninominale.
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NIENTE PIÙ VETI
L'altro rebus che Letta deve risolvere (complicatissimo) è chi lanciare nella sfida dei collegi, dove basta un voto in più per vincere. La premessa, infatti, è che quelli sicuri, i cosiddetti di "prima fascia", sono pochissimi, limitati a Emilia-Romagna e Toscana. Un punto certo è che, caduto l'accordo con Calenda, cade, confermano al Nazareno, il veto rispetto alla candidatura dei leader dei partiti. Dunque, molto probabilmente, Luigi Di Maio così come Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni si misureranno nei collegi. Quali, se di prima, seconda o terza fascia, è un'altra questione da concordare. Dovrebbero andare in collegi di prima fascia, ma a quel punto è prevedibile che ci sarà la rivolta dei territori. Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna e in predicato di scalare il Pd non appena si aprirà un congresso, ha già posto il tema dei paracadutati: no a big catapultati in territori dove non hanno alcun radicamento. Infatti già si parlava di candidare Piero Fassino in Emilia-Romagna, così come Luigi Di Maio a Modena o a Napoli (e non lo vogliono in nessuno dei due territori).
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Letta non ha ancora deciso il criterio. Dovrà caminare sui carboni ardenti, tra appetiti delle correnti e rivendicazioni dei territori. Per ora l'ipotesi che sta prendendo piede è di candidare nei collegi uninomali (i più a rischio, fatti salvo pochissimi) due tipologie: i derogati, ossia quelli che hanno già fatto più di due legislature e che per varie ragioni potranno ricandidarsi, e gli ex ministri o comunque le personalità con più visibilità. Nell'uninominale, infatti, bisogna conquistare i voti. Dunque, è il ragionamento, bisogna mettere in campo chi in questi anni ha avuto ruoli di governo. Roberto Speranza, per esempio, potrebbe correre in un collegio della Basilicata, Andrea Orlando in uno in Liguria. E poi personalità con radicamento, come ex sindaci. Del resto, lo stesso Letta è arrivato in Parlamento vincendo in un collegio uninominale. Dunque, perché non estendere questo criterio? Evangelicamente, a chi ha più avuto, più sarà chiesto. In questo modo si lascia spazio nel listino bloccato del proporzionale a donne, competenze tecniche e a un gruppo scelto dal segretario.
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PUNTARE AL CENTRO
L'altro punto da rivedere, poi, è il messaggio. L'alleanza con Azione, infatti, prevedeva una divisione di compiti: Calenda conquista i voti di centro, il Pd quelli più a sinistra. Ora non è più così. Logico che l'avversario del Pd, ora, diventa uno: il terzo polo di Renzi e Calenda, uniti o divisi che siano. Come spiega Enrico Borghi, fedelissimo di Letta, «sarà competizione serrata con Renzi e Calenda verso i ceti delusi dal centrodestra che ha fatto cadere Draghi. Il terzo polo nasce all'insegna di inaffidabilità e accordi rimangiati, l'esatto opposto di chi chiede alla politica serietà e affidabilità». Non mancheranno, assicurano al Nazareno, alcune proposte ad hoc per conquistare l'elettorato di centro. Anche se la sinistra del Pd spinge, invece, in direzione opposta: marcare un profilo laburista, di sinistra-sinistra. E sempre dal lato più a sinistra salgono voci che lamentano la mancata alleanza con il M5S o sperano in una riappacificazione. Lo ha detto, ieri Loredana De Petris, capogruppo di Leu al Senato. Ma a pensarlo sono in tanti. Intanto Letta si concentra a "polarizzare" la sfida (o noi o la destra). Non a caso ieri ha battibeccato con la Meloni su Marcinelle e ha fatto rispondere alla Lega che aveva accusato il Pd di allearsi con chi non vuole la Tav. Basterà a conquistare il centro, che sarà il discrimine per non perdere malissimo?