Cerca
Logo
Cerca
+

Giorgia Meloni, ultima vergogna: la sinistra usa un morto per attaccarla

Claudio Siniscalchi
  • a
  • a
  • a

La morte del partigiano Mario Fiorentini, alla bella età di 103 anni, riporta ad una pagina dolorosa della guerra in Italia tra il 1943 e il 1945. L'attentato di via Ra sella a Roma. Partiamo dai fatti. La città di Roma, dopo l'8 settembre 1943, è stata dichiarata aperta. Si fa per dire! È occupata militarmente dai tedeschi. Le truppe alleate sono date in imminente arrivo per liberarla. Ma tardano. Il fronte meridionale è impastoiato, drammaticamente fermo. Nella città le forze italiane resistenti decidono di battere un colpo. E sarà il colpo più clamoroso della Resistenza in una grande città italiana ed europea. Il 23 marzo 1944, assiepati su un camion, transitano per il centro di Roma un gruppo di soldati tedeschi. In realtà sono italiani, altoatesini. Prima della guerra avevano giurato fedeltà alla casa Savoia. Poi, ironia della sorte, hanno dovuto giurare fedeltà al Führer. Se ne sarebbero stati molto volentieri a casa loro, vestendo i panni di agricoltori (quali sono) e non la divisa militare. Ma la guerra, nella sua logica assurda, talvolta è spietata. Una dozzina di partigiani comunisti ha preparato un attentato dinamitardo. Quando passa il camion lo attaccano con un ordigno esplosivo rudimentale e con il lancio di alcune bombe a mano. Restano sul selciato 33 soldati e 6 malcapitati che transitano nei pressi al momento sbagliato. La reazione degli occupanti tedeschi è durissima. Per ogni soldato morto verranno fucilati 10 italiani. Prigionieri politici detenuti e rastrellati a caso nelle vicinanze dell'attentato saranno le vittime sacrificali. Il 24 marzo 335 italiani vengono giustiziati alle Fosse Ardeatine. Roma sarà liberata senza sparare un colpo tra il 5 e il 6 giugno 1944. Il generale americano Clark arriverà in jeep sino in Campidoglio, nel tripudio generale. Nel dopoguerra andrà in scena, attorno all'attentato di via Rasella, la rappresentazione degli Eroi e dei Mostri.

 

 


EROI E MOSTRI I partigiani per un buon periodo avranno la parte degli Eroi: onori, riconoscimenti, commemorazioni, medaglie.
Giorgio Amendola, esponente comunista di grande prestigio e dirittura morale, si assumerà pubblicamente la responsabilità di aver autorizzato l'attacco. Il capo dei Mostri, il generale tedesco Herbert Kappler, verrà processato e condannato. Poi, vergognosamente liberato nel 1977, attraverso una fuga comica, nascosto dalla moglie in una valigia.
Questa la versione ufficiale. Alla quale nessuno crede. Il trascorrere del tempo annebbia la vicenda. Passata la stagione dell'orgoglio comincia quella delle polemiche. Si scrive, sugli avvenimenti, a proposito e a sproposito. Si individuano crepe nella ricostruzione, sul piano giudiziario, militare, storiografico, morale. Immancabilmente si finisce nelle sabbie mobili (per giunta maleodoranti) del complotto. Gli Eroi non sono più così Eroi. I Mostri restano sempre gli stessi.
Ma il loro ricordo sbiadisce. Poi l'oblio. Sforziamoci di guardare la realtà per quello che è. C'è poco da indagare su via Rasella.
Come si può giustificare (o non giustificare) la legittimità di un atto in tempo di guerra? È una perdita di tempo. Inoltre, non stiamo parlando di una guerra convenzionale, occupanti/occupati. Stiamo parlando di una guerra civile. Militarmente servì a qualcosa l'attentato? No. Servì a far sloggiare il nemico o almeno ad allentare la morsa dei tedeschi? No. Servì a sollevare la popolazione contro lo straniero occupante? No. Ma allora a che servì? La spiegazione dell'attentato la si deve ricercare nella natura dell'uomo.
Lo scrittore russo Dostoevskij, grande indagatore dei comportamenti umani, lo ha spiegato con sin troppa chiarezza. Il rivoluzionario, attentando la vita del nemico, sa bene che colpendolo non cambierà la posta in gioco. Determinerà però la sua vendetta, perché pur se ferito o azzoppato il nemico resta in piedi. E la vendetta di quest' ultimo - destinata immancabilmente a ricadere sugli innocenti - lo renderà mostruoso. Il nucleo comunista che agì a via Rasella era inebriato dalla Rivoluzione. Credeva ciecamente nell'imminente avvento della Rivoluzione. Anzi, la guerra, gravida di crudeltà, avrebbe favorito la vittoria della Rivoluzione. Per essa era disposto a mettere a disposizione la propria vita. Chi partecipò all'attacco, in prima personao dietro le quinte, non sapeva se ne sarebbe uscito vivo. E, comunque, se sopravvissuto all'attentato, sarebbe stato braccato. Ricercato con ogni mezzo. Se preso torturato e ucciso. Ma la Rivoluzione non è un pranzo di gala. È un processo costruito sul sangue e sul fango. Il modo migliore per spiegare il significato di via Rasella è attenersi ai fatti. Cercare di capire la mentalità degli agenti in azione. Evitare moralismi inutili, di ogni orientamento. Gli eventi passati si possono solo ricostruire, nel dettaglio, non si possono cambiare. La Rivoluzione col tempo si è suicidata. Fortunatamente. Non ne avevamo bisogno ieri, nel 1944. Non ne abbiamo mai avuto bisogno. Via Rasella è un'immagine del passato che tende a scolorirsi, di giorno in giorno. Poi ci si rende conto, che il passato non passa. Entrano in scena gli inappropriati professionisti dell'antifascismo, di stretta formazione comunista, come Nicola Zingaretti e Roberto Gualtieri, o parrocchiale come Enrico Letta.
 

 

 

 

THOMAS MANN E ricominciano con la favola bella del partigiano più decorato d'Italia (addirittura grande matematico), del simbolo della lotta partigiana (Letta), dell'esempio di coraggio e umanità (Gualtieri) per le nuove generazioni (Zingaretti), della lotta eroica e popolare, della liberazione degli italiani buoni da quelli cattivi (dimenticando chi sono stati i veri liberatori). E tutto ciò non perché credono in quello che dicono, ma per raggranellare voti che non prenderanno. Del resto, per concludere, il senso di questa triste vicenda lo aveva già intuito lo scrittore antifascista Thomas Mann, nell'esilio americano. Aveva chiesto un parere al genero, Giuseppe Antonio Borgese, anche lui antifascista ed esiliato, se il fascismo dopo il 1945 potesse sopravvivere. La risposta fu profetica: è morto e sotterrato, ma resterà in vita finché resterà in vita l'antifascismo. Non c'è altro da aggiungere.

Dai blog