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Silvio Berlusconi? Il costituzionalista: “Male interpretato su Mattarella”

Claudia Osmetti
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Alfonso Celotto è uno di quei professori (nello specifico, lui, insegna Diritto costituzionale al dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma tre) che te la spiega con una pazienza infinita, la nostra Carta fondamentale. Passaggio dopo passaggio, cavillo dopo cavillo. Perché sarà pure «la Costituzione più bella del mondo», come dice qualcuno, ma non è detto che debba restare incisa nel marmo e nei secoli. Prendiamo la (possibile) riforma sul presidenzialismo: a destra se ne parla da anni, a sinistra storcono il naso.

Professor Celotto, sarebbe così drammatico auspicare un presidente della Repubblica eletto dagli italiani?
«No. La riforma in senso presidenziale può essere anche una riforma auspicabile, almeno nell'ottica di una maggiore governabilità. Ci sono enti che l'hanno già adottata e, nella pratica, la stanno usando».

Quali?
«Sappiamo che sia i Comuni che le Regioni sono entrambi passati a una forma presidenziale. Prima eleggevamo soltanto i consigli, adesso votiamo direttamente anche per i governatori».

Giusto. E nessuno grida allo scandalo...
«Ma guardi: in Francia, negli Stati Uniti e in molti altri Paesi del mondo vige una forma presidenziale e funziona benissimo. Il problema, semmai, sono le eventuali degenerazioni. Che sono sempre da evitare».

 

 

Quelle dipendono pure dagli uomini che danno vita alle istituzioni. Lo stesso discorso vale per gli altri sistemi. Intende questo?
«Vado oltre. Le faccio l'esempio degli Usa. Lì non avevano il limite ai mandati presidenziali. Quando Roosvelt ne fece quattro di fila, tra il 1933 e il 1945, cioè nel pieno della Seconda guerra mondiale, gli americani si posero il problema e, subito dopo la sua morte, cambiarono la Costituzione inserendo il 22esimo emendamento, che è quello che impone il limite del doppio mandato».

A mo' di correttivo?
«Esatto. Perché si fa così, restando all'interno del pieno perimetro democratico: se c'è una possibile degenerazione, si trova una soluzione. Anche le democrazie ne hanno bisogno».

Insomma, è un sistema come un altro. Inutile gridare subito al golpe come fa, peraltro, una certa parte politica, da noi, ogni volta che qualcuno pronuncia anche per sbaglio la parola"presidenzialismo"... L'ha vista la dichiarazione di Berlusconi che dice "se dovesse passare il presidenzialismo Mattarella dovrebbe dimettersi"?
«Credo sia stata anche male interpretata. Perché un'eventuale riforma del presidenzialismo non è un referendum del 2 giugno 1946. Ossia non è la scelta tra monarchia e repubblica in base alla quale, il giorno dopo, il re Umberto II perde la corona e deve lasciare il Paese».

Che cosa succederebbe se venisse votata una riforma in quel senso?
«Prenda il caso di quello che è stato, negli ultimi anni, il taglio dei parlamentari. Non è successo che il giorno dopo il referendum abbiamo mandato a casa 300 tra senatori e deputati. Si è fatta, invece, una norma transitoria per far entrare in vigore quella riforma nella legislazione successiva».

Che poi sarebbe quella che scatterà il 25 settembre...
«Sì, ma la stessa cosa è successa quando, nel 1999, si è passati al sistema di elezione diretta per i presidenti delle Regioni. Non si è deciso di farli dimettere tutti in una volta per rieleggerli il giorno dopo. Mano a mano che si è andati al rinnovo, è scattato il nuovo modello».

Tra l'altro i tempi potrebbero agevolare tale soluzione. Nel senso, non è una riforma che si fa in una settimana... A proposito, quanto ci vorrebbe?
«Come minimo sei mesi. Una riforma sul presidenzialismo implica quattro letture, due per ogni ramo del Parlamento, con tre mesi di pausa. Poi, se non si raggiunge la maggioranza assoluta, bisogna chiedere ai cittadini di esprimersi tramite un referendum».

 

 

Sei mesi sembrano fantascienza. A lei no?
«Io auspico sempre che le riforme siano il più condivise possibile. Lo dicevano i nostri padri costituenti, che hanno messo assieme anime tra le più disparate: quella comunista, quella democristiana, quella liberale. Una volta che hai approvato una regola con l'85% dei consensi diventa di tutti. È un errore farla a maggioranza perché allora diviene qualcosa di politico e di parte».

Certo. Però per questo serve tempo. Se andasse come per il taglio dei parlamentari ed entrasse in vigore nella legislatura successiva, sarebbe il 2028 e...
«Concludo il suo ragionamento: praticamente coinciderebbe con il naturale esaurimento del mandato dell'attuale presidente Mattarella, sì. Ma ricordiamoci che stiamo sempre parlando di ipotesi e qualora si arrivasse davvero a una riforma sarà il Parlamento a dover trovare l'adeguata norma transitoria per la sua entrata in vigore».

È prematuro arrovellarsi troppo?
«Diciamo che ne parleremo in modo più approfondito l'anno prossimo, una volta che sarà cominciata sul serio».

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