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Giorgia Meloni, ecco perché la fiamma non c'entra col fascismo: la lezione di Storace

Francesco Storace
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Questa polemica sulla Fiamma nel simbolo di Fratelli d'Italia è davvero patetica. E stavolta ritorna sui media perché il Centrodestra può vincere le elezioni del 25 settembre e il partito di Giorgia Meloni vanta buone prospettive nel sondaggi. Altrimenti non se ne parlerebbe. Intimazioni senza senso: toglietela! Ora! Subito! Pretese insostenibili. Proprio perché elettoralistiche, insincere, fasulle. I cantori della libertà a condizione che decidano loro di che cosa si tratta, dovrebbero sapere che i partiti autenticamente democratici stabiliscono i loro simboli nei congressi. Ed è solo lì che si possono modificare. A meno che non si abbia un'altra pretesa: leva la fiamma e presentati con una specie di lista civica. Che sarebbe cinica, semmai. Ovviamente la Meloni è andata avanti e ha presentato la sua lista con tanto di Fiamma.

 

 

 


Ma quel simbolo significa Fascismo? No, o almeno non più. Il richiamo è al Msi, ce l'aveva anche Alleanza nazionale che la mantenne nel simbolo nello stesso congresso in cui rivendicava il diritto alla libertà "conculcata dal Fascismo", come si scrisse nelle tesi di Fiuggi.
 

TRE MINISTRI Al Msi appartenevano tre ministri, Pinuccio Tatarella addirittura vicepresidente del Consiglio- Adriana Poli Bortone e Altero Matteoli. E più in là- con An - Mirko Tremaglia, che militò nella Rsi. Il presidente Ciampi, al contrario di Scalfaro, non obiettò alcunché alla sua nomina, proposta da Fini a Berlusconi. Il partito da cui anche Tremaglia proveniva - il Msi - fu parte della democrazia italiana. E il suo simbolo ha più un valore storico che elettorale, va detto con chiarezza. Tanto è vero che milioni di elettori che furono missini votarono poi per partiti che la fiamma non l'avevano: Forza Italia, il Pdl, la Lega di Salvini. E continuano a farlo. Anche perché per la Meloni votano e sono candidati cittadini che per la fiamma non votarono mai nella loro vita.
Elettoralmente quel simbolo non fa più la differenza. Resta il suo valore storico e non a caso c'è la fondazione An chiamata a preservarne il valore. Probabilmente la Meloni potrebbe anche toglierla dal logo di Fdi senza perdere o guadagnare un solo voto. A condizione di non farlo per cedimento culturale alle pretese della sinistra, ma per scelta del suo partito. Altrimenti sarebbe sì una sconfitta ideologica ed è il motivo per cui non si deve abiurare persino alla simbologia.

 

 


Altra cosa - e ben più grave - sarebbe l'inevitabile pretesa successiva: ora dicci di essere antifascista. Vorrebbe dire passare come un carro armato sui corpi di tanti ragazzi di destra assassinati negli anni di piombo nel nome dell'antifascismo militante: sarebbe davvero insopportabile, irrispettoso, cinico. Ed è grave che si continui ad insistere sull'argomento. Questo sì è elettoralismo da parte della sinistra e di chi ci casca: a destra nessuno sogna dittature e probabilmente si è molto più democratici che altrove. Ma il sangue versato va rispettato.
Da tutti.


È il motivo per cui dalla notte dei tempi a destra si insegue il mito della pacificazione nazionale: che significa basta alla discriminazione dei vinti di ieri nel nome della faziosità ideologica.
La Patria è la Terra dei padri, che fu popolata anche da chi non scelse il carro del vincitore.

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