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Albino Ruberti e il Pd, sprezzanti e coatti: svelato il vero volto dei democratici

Alessandro Giuli
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Più che da Rocky, lo stile di Albino Ruberti sembra quello del Libanese di Romanzo criminale, e soltanto un romano può capire di che si tratta, facendo magari spallucce di fronte al pasticciaccio che è costato la carriera al capo di gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri. Diffuso ieri dal Foglio, un video fatale lo rappresenta in tutta la sua magnificenza da burino altolocato mentre urla frasi, diciamo così, poco compatibili con la rassicurante immagine borghese del Pd capitolino: «Inginocchiati o ti sparo...».
Ma che davero? Eh sì: «Me devono veni' a chiede scusa per quello che mi hanno chiesto a cena... A me non me dicono "io me te compro". Je do cinque minuti pe veni' a chiedeme scusa in ginocchio. Se devono inginocchia' davanti a me e chiedere scusa. Altrimenti io lo scrivo, a tutti, quello che sti pezzi de merda mi hanno chiesto. Non se devono permette de dimme "me te compro". Ioli sparo, li ammazzo». Pura poesia post-neorealista andata in scena fuori da un ristorante di Frosinone, evidentemente ispirata da una discussione con i commensali (Vladimiro e Francesco De Angelis, fratelli), presente anche la turbatissima consigliera Sara Battisti («Amore basta... Oddioooo...»).


Eccolo dunque, Albino, spogliatosi della grisaglia istituzionale, che mortifica perfino la sua Sara («Fa' la tua scelta. Se stai co' sta gente non stai con me. Io prendo le conseguenze») e poi impone l'ultimatum di «cinque minuti» per ottenere scuse e soddisfazione «in ginocchio»... Altrimenti boom... je sparo. Interrogato al riguardo poco prima di rimettere il mandato, Ruberti ha improvvisato una linea difensiva se possibile più eloquente delle sue minacce: «Si tratta di una lite per motivi calcistici, accaduta circa due mesi fa a Frosinone con una terza persona, che non voglio citare, al termine di una cena. Alla scena erano presenti anche Vladimiro e Francesco De Angelis con il quale ho ottimi rapporti. Niente di più».

RAPIDA ASCESA - Niente di più? E che altro serviva per farsi un'idea meno vaga del «soave ambientino romano del Pd», come ha commentato con pariolina goduria Carlo Calenda? Attenzione: qui stiamo parlando di un Ruberti, mica cazzi come si dice appunto a Roma. Ovvero d'un figlio d'arte il cui padre fu magnifico rettore universitario e pluriministro dell'Istruzione (a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso) nonché commissario europeo, un rampollo dal cursus honorum a sua volta di tutto rispetto: al vertice della monopolista Zetema per 15 anni nella gestione della cultura capitolina e capo di gabinetto di Nicola Zingaretti nel suo secondo mandato da presidente della Regione Lazio. Fino alla recente cavalcata col mite e introflesso Gualtieri, la cui sindacatura molte deve alla capacità strategica e alla rete di relazioni di "Albino boom boom".
Verrebbe sin troppo facile, in questo momento, buttarla in politica e alludere al fatto che anche il Pd ha la sua terra di mezzo sebbene questa sia allocata sulle terrazze soleggiate, a cielo aperto, laddove la consuetudine con il potere vero non ha bisogno di nascondersi in un benzinaio di Roma nord e anzi si mostra con disinvolta sprezzatura. Come accadde durante il lockdown del 2020, quando Ruberti fu pizzicato dalla polizia (ma lui forse direbbe: «Da le guardie») attovagliato sul proprio attico al Pigneto per degustare pesce fresco in spregio alle restrizioni imposte dai decreti governativi. Si favoleggia che il reo nella circostanza abbia pronunciato le fatidiche parole: «Lei non sa chi sono io»; un'abitudine famigliare, poiché pare sia stata contestata pure ai suoi figli non ancora ventenni allorché furono multati dai carabinieri («lei non sa di chi siamo figli noi»).
Chissà.
Non da ieri, dunque, è certificato che Albino corrisponde al fenotipo del "coatto antico" - sì, a Roma diciamo anche questo per significare l'apice di un'uniforme inclinazione borgatara che non conosce divari sociali - e tuttavia resta pur sempre il più attrezzato della compagnia e illibato nel casellario giudiziale. Figurarsi gli Albini che ancora non conosciamo, potrebbero obiettare i maligni... ma sarebbe un torto al più interessante dato antropologico degno di un passaggio conclusivo.


LA STORIA SI RIPETE - I romani contemporanei, nessuno escluso, sono fatti così: sbruffoni naturali, amministrano la cosa pubblica nello stesso modo in cui litigano ai semafori, gettano la monnezza fuori dai cassonetti vuoti, s' accoltellano davanti allo stadio Olimpico. Di qui il capolavoro del ricorso di Ruberti alla lite per futili motivi calcistici opposto alle domande dei giornalisti: dalle nostre parti, Ztl o periferia non fa differenza, è normale predisporsi a risolvere ogni controversia con la "lama" (coltello) e col "pezzo" (pistola), ma più ancora con la promessa di usarli anche soltanto come metafora del nostro stato d'animo da provinciali inurbati di seconda o terza generazione. Questa oggi è Roma: un paese di paesi in cui un tempo la moglie del nostro comune avo Giulio Cesare (originario di Frattocchie) non poteva nemmeno essere sospettata di adulterio e venne perciò ripudiata. Sicché, adesso, Cesarino Gualtieri può davvero proclamarsi vedovo inconsolabile. In attesa del prossimo Libanese.

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