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Corriere e Repubblica, zitti e mosca: che fine fanno le magagne del Pd

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Iuri Maria Prado
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Nel primo giorno della nazistopoli progressista, il trio dei giornali coi fiocchi - Corriere, Repubblica e Stampa - sceglie per la prima pagina la linea della fermezza: zitti e mosca, troppo presto per parlarne, vedi mai che fosse una fake news demoplutogiudaica per screditare il partito della Costituzione fondata sull'antifascismo legittimo, cioè quello coltivato in purezza nei lotti democratici della sinistra perbene e nelle pertinenze arcobaleno. E se il primo giorno era troppo presto per intrattenersi sull'evoluire comunicazionale del Pd a contenimento delle argomentazioni nazi-social dei propri candidati, il giorno dopo, evidentemente, per quei giornali era troppo tardi.

 

 

E infatti, ieri, nuovamente nulla in prima pagina né sul Corriere né sulla Stampa né su Repubblica a proposito del dettaglio di un capolista democratico che, dopo una desolante girandola di finte scuse e un tira e molla da magliaro preso in castagna, si costringeva a ritirare la propria candidatura macchiata da una simpatica militanza goebbelsiana sul diritto di esistere dello Stato ebraico. Né ormai si trattava solo di quello, perché du côté de chez Pd prendevano a fruttare analoghe schifezze nutrite da quella medesima radice odiosa, tipo la messaggistica filoterrorista di un'altra capolista (il Pd è meritocratico) impegnata a spiegare che Israele è un regime fondato sull'apartheid (i post più disinibiti li ha cancellati, come facevano i nazisti bruciando le foto compromettenti).

 

 

Ma nemmeno queste erano notizie da prima pagina, per quel giornalismo sussiegoso. Dice: e vabbè, ci saranno state altre urgenze. E come no! Guarda qui. Repubblica: «Inchiesta su M. La rete nera in Europa», con significativo primo piano di Giorgia Meloni. E la Stampa? Pronti: «L'Italia al voto. I nostalgici di Predappio». Corriere, bisogna ammetterlo, più equilibrato: si limita a non dire un cazzo di niente come il giorno prima, ma almeno non compensa con la pezza che reitera l'allarme per il pericolo nero. Così andava il giornalismo antifascista nel secolo primo dell'era Bella Ciao.

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