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Economia, disprezzo miope: perché i liberal odiano gli imprenditori

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Iuri Maria Prado
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Secondo un'agenzia che non mi pare abbia smentito, Carlo Calenda dice che fosse per lui caccerebbe dall'Unione Europea la Polonia e l'Ungheria. E vabbè. Ma più che il programma fa specie la giustificazione adoperata per lanciarlo: e cioè che «le delocalizzazioni delle nostre aziende non vanno in Cina. Vanno in Ungheria e Polonia». Se andavano in Cina, Calenda proponeva l'esclusione della Cina dalla galassia: ma appunto, dice, vanno invece in quei due altri Paesi, che pertanto andrebbero cacciati dal carrozzone Ue.

 

 

 

Non che sia un inedito, per Calenda, anzi è una sua fissazione il proposito di sanzionare l'imprenditore che non capisce la bellezza del paradiso italiano e se ne va dove produrre e fare profitto, incomprensibilmente, non sono considerati come si deve secondo il protocollo libberal-soscialista con due b e con l'essecì, vale a dire dei mezzi reati: sanzionare lui, l'imprenditor-fuggiasco che non capisce che le tasse e i timbri e i permessi e i sistemi montuosi di scartoffie sono bellissimi, e sanzionare i Paesi che ne ospitano le infami brame delocalizzatrici.

 

 

 

Ora, io non so come l'Ungheria e la Polonia disciplinino il lavoro e l'iniziativa economica, ma se lo fanno in modo meno asfissiante rispetto a quel che si fa qui, allora chi fa impresa fa benissimo ad andarci e quei due Stati fanno benissimo ad accoglierli, salvo credere che chi si è liberato dal giogo sovietico debba sperimentare la galera statalista e anticoncorrenziale italiana che evidentemente piace a Calenda. Quest' idea bastarda secondo cui lo Stato non solo ha il potere di sottoporre l'iniziativa economica privata a grassazione, ma pure vanta una specie di diritto proprietario su chi si organizza e investe per produrre, intromettendosi a ordinare se, come e dove può fare impresa, costituisce ancora l'inestirpabile convincimento di certi competenti.

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