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Crisi, serve un patto sociale per rilanciare il Paese

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 Giorgia Meloni

Alessandro Giuli
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Il governo Meloni avrà come presupposto fondativo il dovere di trasformare una debolezza sistemica in forza politica. La congiuntura economica sfavorevole (eufemismo), le interferenze internazionali e le pressioni delle nomenclature interne suggeriscono alla premier in pectore di sfuggire dalla dimensione emotiva del cabotaggio quotidiano per riprendere l'iniziativa strategica. Con una metafora: senza nulla smarrire della propria idealità, occorre uscire dall'epica del Signore degli anelli per addentrarsi more geometrico nella dura prosa della realtà.
La copertura istituzionale garantita dal Quirinale, con la sua neutralità attiva posta a protezione dell'interesse repubblicano, si somma al prezioso lascito tecno-diplomatico assicurato da Mario Draghi nelle cancellerie continentali e oltreoceano.

 

 

Il clima d'emergenza innescato dalla guerra russo -ucraina e la conseguente necessità di offrire risposte commisurate ai contraccolpi energetici pongono paradossalmente Giorgia Meloni nelle condizioni di agire con inattesi margini di libertà. L'occasione non va sprecata. Di là dalla sua composizione ordinaria, anche il nuovo esecutivo potrà avvalersi di strutture commissariali legittimate dai precedenti governi e se possibile rese più stringenti dallo stato d'eccezione mondiale in essere. In questa cornice, per fare un esempio, dovrebbe trovare un ruolo preciso l'ex ministro Roberto Cingolani con l'obiettivo di triangolare nelle sedi europee per dare corpo a un Recovery energetico sottratto alla mediazione delle procedure ordinarie.


Discorso analogo vale per ciò che concerne il dossier sanitario, alla luce della curva pandemica autunnale, sul quale incombe l'urgenza di predisporre un piano vaccinale mirato per stornare il rischio di ulteriori misure di carattere restrittivo. Stesso ragionamento potrebbe valere in materia di transizione digitale e sviluppo infrastrutturale, in linea con le raccomandazioni europee per recuperare terreno nell'attuazione del Pnrr. Non si tratta, sia chiaro, di oltrepassare le prerogative costituzionali assegnate agli organismi legislativi decidenti; ma piuttosto di predisporre una disintermediazione sul piano realizzativo e d'intervento straordinario funzionale a un'azione più snella nel giusto equilibrio tra "quantità" partitica e "qualità" tecnica.

 


STAGIONE DI DIALOGO
Parallelamente, e veniamo al secondo punto strategico, il governo liberal-conservatore potrebbe inaugurare una stagione di dialogo a largo raggio con i corpi intermedi attraverso un nuovo «Patto sociale per l'Italia» che coinvolga i sindacati, le associazioni di categoria, le concentrazioni industriali residue e la catena del valore costituita dal mondo delle piccole e medie imprese, nonché le banche cosiddette di sistema assieme alle Fondazioni e ai centri di ricerca più avanzati. Non si tratta, com' è già evidente, di resuscitare la zoppicante esperienza berlusconiana del 2002, che vide impegnato l'allora premier in un accordo quadro di Confindustria con Cisl e Uil intorno ai contratti nazionali, quanto di predisporre un più vasto luogo di consultazione rafforzata paragonabile al sin troppo vituperato Cnel. In tale sede, più che immaginare un'anacronistica camera di compensazione nella dialettica tra capitale e lavoro, sarebbe possibile dare forma a un nucleo ideativo riformista del quale potrebbero giovarsi sia il Parlamento sia i dicasteri più sensibili (Mef, Mise, Mite) sia le strutture commissariali sopra evocate. 

 

Ma c'è di più. Il Patto sociale per l'Italia potrebbe rivelarsi un incubatore sussidiario di contenuti per accompagnare e sorreggere dal basso l'eventuale percorso di riforma costituzionale incardinato in una commissione Bicamerale altrimenti percepibile come l'escogitazione di un'astratta e sterile consociazione partitocratica. Il vantaggio immediato d'una simile soluzione sarebbe quello di offrire l'immagine d'un corpo civico impegnato in scelte condivise nell'interesse superiore della Nazione. Il punto di riferimento storico più prossimo e fecondo che ci sentiamo d'indicare al riguardo è la formula di matrice azionista dei «cento uomini d'acciaio col cervello lucido e l'abnegazione indispensabile» coniata nel secolo scorso da Guido Dorso per fronteggiare la questione meridionale. Oggi che la "questione emergenziale" è nazionale, continentale e globale, l'Italia deve porsi l'obiettivo di dare rappresentanza alla competenza e competenza alla rappresentanza in un disegno organico che coinvolga tutte le parti sociali in causa.

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