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Stefano Fassina? Impensabile: vince il concorso pubblico e... dove lavorerà

Alessandro Gonzato
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Stefano Fassina è un comunista laureato alla Bocconi («La Milano da bere di Craxi e del sindaco Pillitteri, non proprio il mio ambiente», s' è giustificato prima di candidarsi a Roma nel 2016 con Sinistra Italiana ottenendo il 4,5%), un ex "giovane turco" del Pd che nei palazzi della capitale 23 anni fa ha trovato l'America (è dirigente della presidenza del Consiglio dei ministri dal '99), un ex deputato di Liberi e Uguali, un po' meno uguale agli altri, diciamo più fortunato, perché ha potuto scegliere senz' affanni se ricandidarsi o meno, e dato che per la sinistra i collegi blindati scarseggiavano, a settembre ha preferito- da deputato in carica- partecipare alla «procedura di interpello per l'affidamento dell'incarico dirigenziale di livello generale nell'ambito dell'ufficio di controllo interno, trasparenza e integrità» della presidenza del Consiglio dei ministri, e toh, ha vinto.

Ha vinto il deputato Fassina. D'altronde non aveva avversari. Tutto regolare, intendiamoci, tanto che il 10 ottobre ha preso servizio nel settore "consulenza studio e ricerca". Alla vigilia delle ultime elezioni Fassina aveva invitato gli italiani a votare Giuseppe Conte e il reddito di cittadinanza, ma il "compagno" che grazie alla collaborazione iniziata nel '96 con l'allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco poté conoscere il dipartimento Affari economici della presidenza del Consiglio dove passò tre anni dopo, non aveva certo bisogno del navigator per sistemarsi, perché un posto a 5 Stelle già l'aveva e un altro era solo questione di tempo, giusto un mese.

Chi meglio di lui, che siede in quelle stanze da quando Francesco Totti un giovane di belle speranze, poteva soddisfare uno dei principali requisiti richiesti dal "bando" (rimasto in pubblicazione per appena 7 giorni), ossia l'«esperienza nel raccordo tra i livelli di governo in materia di interventi economici e strategici»? C'era poi «l'esperienza nei rapporti istituzionali e nella rappresentanza in comitati, commissioni e gruppi di lavoro», e anche qui Fassina sbaragliava tutti.

La «conoscenza dell'ordinamento e dell'organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri» inoltre, altra condizione, era una passeggiata di salute per l'ex sottosegretario di Enrico Letta (2013-2014) visto che dentro, fuori e in aspettativa da Palazzo Chigi ha avuto più ruoli di Carlo in "Bianco, Rosso e Verdone". «Nel '96», ha raccontato Fassino, «Laura Pennacchi (nel '99 sottosegretaria di Prodi al Tesoro, ndr) mi chiama al ministero dell'Economia (...) niente riflettori, ero solo una "terza fila". Però ho avuto la fortuna di lavorare con Ciampi». Li ha visti, conosciuti e vissuti tutti, i potenti, quelli che da segretario degli studenti universitari di Sinistra giovanile contestava in piazza con l'eskimo. Nel 2013, al tempo dell'incarico in quota Pd come viceministro delle Finanze e nei giorni in cui l'allora segretario Dem Matteo Renzi lo sbertucciava pubblicamente («Fassina chi?»), ha scritto il libro, "Il lavoro prima di tutto". Già, cos' altro? Tre anni dopo, quando ne aveva 50, s' è candidato a Roma, la sua città: «Sono troppo innamorato della politica per tirarmi indietro». Esito disastroso, ma che je frega a Fassina, anzi, gli è pure andata bene: vuoi mettere la bellezza di collezionare incarichi dentro e fuori la presidenza del Consiglio?

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