L'audio rubato di Berlusconi e la "terza registrazione": cosa c'è dietro davvero
La prima cosa da fare è confessare tutta la nostra invidia da cronisti per il colpaccio di LaPresse, l'agenzia di stampa guidata dall'eccellente collega Alessia Lautone. Regina del gossip dei palazzi, grazie al suo capo del politico, Donatella Di Nitto, ha dettato l'agenda per due giorni, prima ottenendo e poi centellinando l'audio pirata nel quale Silvio Berlusconi tesseva le lodi di Putin e della sua guerra giusta, mandando al diavolo l'ucraino Zelenksy, come fosse una bottiglia di Barolo o di Ornellaia dell'annata giusta. Quelle parole dal sen fuggite al Cavaliere hanno fatto ballare il governo ancora prima che nascesse, costringendo il leader azzurro a una poderosa retromarcia atlantista ma dando anche l'occasione alla futura premier, Giorgia Meloni, di giganteggiare e mettere a tacere per sempre i suoi critici, specificando che il suo governo o sarà schierato con la Nato e pro-Ucraina o non sarà.
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Le esternazioni di Berlusconi hanno un doppio effetto sull'alleanza destinata a reggere il futuro esecutivo. Da una parte testimoniano l'irritazione e l'incapacità di colui che fu il capo indiscusso del centrodestra di accettare il ruolo di comprimario e confermano come, a suo modo, il Cavaliere ancora sogni di farsi mediatore di pace tra Mosca e l'Occidente, a prescindere dalla realtà degli eventi, confidando di poterla modificare solo perché non gli piace. Dall'altra, per un effetto a contrario, rafforzano la leadership della fondatrice di Fdi, sia in Italia, sia all'estero. Ne esaltano la determinazione, il pragmatismo e l'affidabilità. Hanno anche contribuito a migliorare l'immagine di Salvini, confermandone la capacità di mediazione politica e la priorità di dare un governo di centrodestra a prescindere da utilità e interessi personali e di partito.
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Non si può negare però che la prima conseguenza dell'audio sia stata terremotare i colloqui per la formazione del governo e rendere più difficili gli accordi nella maggioranza. Basta pensare che, per poche ore, è stata messa in dubbio perfino la designazione al ministero degli Esteri di Antonio Tajani, già presidente del Parlamento Europeo e vicepresidente del Ppe, atlantista ed europeista indiscusso e indiscutibile, solo perché colpevole di essere il numero due di Forza Italia. Siamo arrivati al punto che un tipo come Giuseppe Conte, che ha nominato ministro degli Esteri Luigi Di Maio, malgrado i suoi viaggi a Parigi per sostenere i gilet gialli e nonostante confondesse il Cile con il Venezuela, si è perfino permesso di porre veti sul dirigente azzurro, giustamente ignorati dal Quirinale.
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Questo per dire che il tentativo da parte di LaPresse di sfruttare lo scoop a livello di marketing, prima dandolo in due parti e poi annunciandone una versione integrale da trasmettere solo a governo fatto, fra qualche giorno, ha tradito una logica commerciale che ne ha svilito la portata professionale. Chi si procura del materiale in grado di cambiare il quadro politico e delegittimare un esecutivo ha il dovere professionale di renderlo pubblico seguendo una logica giornalistica e non di marketing. La politica non è un gioco mai, men che meno ora, con una crisi energetica drammatica, l'inflazione che galoppa e la recessione alle porte. La Meloni, e i leader tutti, chiamati a formare e portare avanti l'esecutivo hanno diritto a operare senza il condizionamento dell'esplosione di una bomba mediatica annunciata. Fortunatamente alla LaPresse se ne sono resi conto e il giallo dell'audio integrale, nel quale emergerebbero ulteriori apprezzamenti di Berlusconi sul centrodestra, è durato solo poche ore. La Lautone ha annunciato che non c'è altro materiale scottante. Siamo lieti di questo e della redenzione dell'agenzia. Che questa vicenda dell'audio rubato valga a futura memoria, soprattutto per il suo protagonista e il partito, che non ne esce meglio. Quanto al giallo del divulgatore infatti, in Forza Italia sostengono siano stati "i satanisti", solo che ciascuno è convinto che indemoniato sia l'altro.