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Il tu di Meloni e quella lectio magistralis di Soumahoro sull'Africa che proprio non serviva

Marco Petrelli
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Peccato di forma. Il tu del Presidente del Consiglio all’onorevole Aboubakar Soumahoro (AVS) e l’esserglisi rivolto senza appellarsi alla Presidenza della Camera. Peccato di… contenuto. La lectio magistralis sull’Africa del deputato Soumahoro, figlia di una narrazione storica che, con la Storia vera e propria, ha ben poco a che fare. 

Nel contestare al Governo il termine “piano” riferito al Continente Nero, Soumahoro spiega infatti che l’Africa ha già subìto un piano con la spartizione coloniale seguita alla Conferenza di Berlino del 1884. Prosegue ricordando la Resistenza e le centinaia di morti fra i giovani che combatterono per un’Italia libera. 

Ora, sorvolando che i caduti della guerra furono, ahinoi, migliaia (50 mila militari e civili della Resistenza, 50 fra le file della RSI e delle forze di occupazione, fra i 10 ed i 30 mila i caduti sotto bombardamenti e per rappresaglie), le considerazioni sull’Africa sanno di retorica terzomondista, altro che “scolari della storia”. Vediamo perché… 

I mali del Continente Nero iniziano ben prima di Berlino. In età antica, per la precisione, con le basi commerciali ed i domini di fenici, greci, romani; ed in età tardo antica con vandali, bizantini, arabi. 
Fu in età moderna, però, che il cuore dell’Africa subì la più feroce delle razzie. Razzie di materie prime e di schiavi per mano “cristiana” (portoghesi, spagnoli, olandesi, francesi, inglesi) e per mano turca. Gli ottomani, in particolare, sono stati fra i primi e più sanguinari colonizzatori dell’Africa. E non solo…
Un milione i bianchi finiti in catene fra il XV ed il XVIII Secolo, quasi 17 milioni gli africani “trafficati” dai mercanti arabi fino agli inizi dell’Ottocento. Le rotte degli arabi conducevano quei disperati sui mercati turchi o alla corte dei  beylerbey, i corsari-re  delle province ottomane del Nord Africa. Altri ancora finivano in mano ai mercanti europei. 
Ancora oggi i “migranti” marciano per migliaia di chilometri lungo le antiche vie dei trafficanti berberi, arrivando sulle coste del Mediterraneo e del Mar Rosso dove smluggers senza scrupoli li imbarcano su carrette del mare alla volta dell’Europa e della Penisola araba. 
Non immigrazione (ecco il perché delle virgolette), semmai schiavismo. Schiavismo contemporaneo che prosegue nelle squallide baraccopoli-dormitorio che si moltiplicano accanto a luoghi di lavoro e di sfruttamento con paghe irrisorie e condizioni servilei. 

Quanto alla spartizione coloniale è ovvio che le potenze occidentali abbiano la loro parte di responsabilità nel mutamento del corso della storia africana, a partire dai pretesti per giustificare le invasioni. I francesi, ad esempio, che occuparono l’Algeria per 120 anni lo fecero, ufficialmente, per porre fine alle scorrerie barbaresche nel Mediterraneo.  Mauvais garçons! Chissà quale scusa avranno trovato per la costa occidentale dell’Africa, per la Guyana, per l’Indocina? I cugini d’oltralpe non hanno certo lasciato una bella immagine di sé, tanto che la maggior parte dei flussi migratori dalle ex colonie francofone africane finisce in Italia. E mica solo perché il Bel Paese è la porta d’Europa: la proverbiale gentilezza della Gendarmerie distoglierebbe, in fondo, il più ardito fra i clandestini dall’ intenzione di varcare la frontiera. 

L’epoca coloniale ha avuto un inizio, ma pure una fine seppure Soumahoro non l’abbia ricordato. 
E avrebbe dovuto altresì rammentare che, a dispetto agli ex dominions di America Latina ed Asia, i vecchi possedimenti europei in Africa, una volta indipendenti, hanno potuto beneficiare di miliardi di dollari di investimenti contro la fame, contro le malattie, per lo sviluppo. Non ultimo l’ European trust fund da 5,5 miliardi di euro cui Berlino e Roma sono stati fra i due principali finanziatori. 
Chi scrive,  nato negli Anni ’80 del Secolo scorso, ricorda poi che sin dalle elementari frati e diocesani organizzavano raccolte di fondi per le missioni. Nessuno si è mai chiesto dove finissero quelle piccole offerte, né quale uso ne venisse fatto. Lo si faceva perché convinti di dover aiutare. Punto. Ma, a distanza di anni e di una situazione generale di permanente sottosviluppo di alcuni paesi, qualche dubbio sull’utilizzo dei fondi internazionali viene a galla. 
Oltre all’aspetto economico e dell’accoglienza, ci sono i vari impegni umanitari e di peacekeeping ai quali l’Italia (Paese che oggi l’onorevole Soumahoro ha l’onore e l’onere di rappresentare) ha altresì contribuito boots on the ground. Quali? Missione ONU in Eritrea (1947), Amministrazione Fiduciaria della Somalia (ONU, 1950-1960), Missione ONU in Congo e, non ultima, le Operazioni Ibis (UNOSOM I e II), quelle in Ruanda ed in Mozambico tutte drammaticamente segnate da militari (e civili) italiani caduti o gravemente feriti come il comandante Gianfranco Paglia, Medaglia d’Oro al Valor Militare. 

Quanto al nostro lascito ex colonizzatori, l’uso dei gas in Abissinia fu errore ingiustificabile, ma l’esperienza coloniale italiana non si limitò all’iprite ed agli eccessi del Maresciallo Graziani. In Eritrea è made in Italy buona parte delle infrastrutture ancora in uso. Fino al 2021, poi, l’ultracentenaria Scuola “Volta” di Asmara ha contribuito a rafforzare il legame, fortissimo, fra Roma e l’Eritrea. 

Anche altre nazioni colonizzatrici hanno lasciato piccole ma preziose eredità: edifici, luoghi di culto, acquedotti, strade ancora sfruttati risalgono all’epoca coloniale. Opere che non possono giustificare secoli di dominazione, ma importanti per le economie di paesi i cui governanti, dagli Anni Sessanta ad oggi, non sono evidentemente stati in grado di garantire uno sviluppo anche parziale dei rispettivi paesi. La navigazione sulla sponda meridionale del Tanganica è assicurata dalla MN Liemba, ex vapore Graf von Götzen in servizio, sullo stesso lago, con la Marina imperiale tedesca nella Grande Guerra. Naviga ancora, malgrado dopo più di cento anni potrebbe essere suscettibile di qualche problema. 

I mali dell’Africa, dunque, sono anche frutto di generazioni incapaci di valorizzare le loro terre. E che, oggi, emigrano in massa lasciando i loro concittadini più deboli su macerie materiali e morali. 

E quando ci si sente sconfitti dentro, nessun aiuto economico o alimentare potrà mai essere veramente incisivo. 
C’è bisogno di un piano per l’Africa, ma che stavolta funzioni. Quanto alla storia aveva ragione Gramsci, “insegna ma non ha scolari”. Ed alcuni eredi di Antonio Gramsci sembra che la scuola l’abbiano marinata un po’ troppo… 

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