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Meloni, Alessandro Giuli: come fa impazzire la sinistra

Alessandro Giuli
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Fra le numerose ragioni politiche che stanno mandando in tilt i detrattori dell'opposizione ce n'è una che politica non è: la Giorgia Meloni percepita non è diversa da quella reale; e questa al momento sembra essere una chiave del suo successo comunicativo. Dopo aver già illustrato per tempo su questo giornale l'essenza del "Metodo Giorgia" - «vi ascolto tutti, decido da sola e non contemplo vie subordinate» - nella quotidiana prassi da capo del governo in pectore e poi nel pieno possesso delle proprie funzioni, potrebbe giungere il momento di definire il cosiddetto "Codice Giorgia", qualcosa che somiglia a uno stile ma sopra ogni cosa è una "equazione personale" espressa con piglio volitivo e una dichiarata naïveté.

 

Prendiamo a esempio le ultime apparizioni pubbliche, come la conferenza stampa successiva al secondo Consiglio dei ministri, quello delle decisioni economiche in materia di energia; quello preceduto dalla giornata d'incontri con i vertici istituzionali di Bruxelles. Nella circostanza, la nostra premier (innocente frondismo) è apparsa mediamente stanca eppur spiritosa, ha ammesso con ingenua sincerità d'essere andata in confusione mentre enumerava per difetto i provvedimenti sul gas intrisi di numerologia e tecnicalità, sorrideva ricevendo le correzioni di Giancarlo Giorgetti (il sodale suo ministro dell'Economia che dà "la rotta") e insomma trasmetteva a giornalisti e cittadini un senso di prossimità privo di altero distacco. Ciò che nei sopraffini palati avvezzi al gesuitismo euclideo di Mario Draghi risulta poco riconoscibile; se non popolano perfino, essendo invece squisitamente popolare.

LA "DONNA COMUNE"
E qui sta il quid del presidente del Consiglio (ritorno all'ortodossia): Meloni intende governare con il piacere del comando femminile che sta un passo avanti ai maschi alleati ma senza rinunciare al calore meridiano della "donna comune" che, incontrando in nordica trasferta la presidente dell'Europarlamento, la maltese Roberta Metsola, per prima cosa nota quanto «fa freddo, qui».

 

Anche quel suo vagolare di occhi in cerca d'ispirazione o di conferma, mentre dichiara a beneficio di telecamera, segnala in lei l'insicurezza come virtù della spontaneità che predispone all'autocontrollo, alla ricerca e allo studio anziché alla declamazione stentorea.

Una certa compostezza, sì, è subito sopraggiunta nella misura in cui la legge settecentesca di Jean-Baptiste de Lamarck, smentita dalla biologia, sopravvive in politica: la funzione crea l'organo e attrae la grazia di Stato nella forma protocollare della gravitas. Ma il pathos della distanza, quello no, non è previsto nelle movenze oratorie così come nelle inflessioni capitoline d'una leader che non è sorretta dalle pose studiate del populismo berlusconiano.

IL SOLITO ODIO
Nel suo genere (ma alla questione di genere arriveremo in coda), essendo la nostra fase quella dell'opera politica nell'epoca della sua riproducibilità digitale, il Codice Giorgia si avvicina molto a un autarchico prodotto artigianale che induce i sinistri oligarchi del gusto alla rivolta estetica. La loro è la medesima crisi di rigetto andata in scena con il Cavaliere e con Matteo Salvini, frutto di un'ossessione psicanalitica per "l'eterno fascismo" plasmato dallo "statalismo piccolo-borghese" di cui scriveva Carlo Levi ben prima di Umberto Eco. In sintesi: prima di odiarti per ciò che farai, già ti odio per ciò che sei. Di qui il marchio di "Ducia" impresso su Meloni, ironica reincarnazione dell'attributo di "Truce" affibbiato a Salvini e di "Caimano" inflitto a Berlusconi: definizioni viscerali espettorate in omaggio al sontuoso Carlo Emilio Gadda di "Eros e Priapo". 

Di qui il perimetro di "Coattonia" ridisegnato dai pensosi cantori d'una malriposta resistenza liberale sopra i confini dell'Italia meloniana che si pretende stravolta dal cattivo gusto autoritario, alla stessa stregua della «Italia o Vitùlia o Vitàlia, splendido nome della vita» cui «fu accodata la giunta d'un attributo, d'un elogio patronimico sgrondato dal nome suo: Italia mussoliniana» (sempre Gadda). E veniamo così all'outfit cross-gender di Donna Giorgia, in tailleur pantalone patriottico, e al suo Mutterrecht priapico declinato al maschile («il Signor Presidente») sui quali con rare eccezioni - vedi Concita De Gregorio - s' attardano femministe e femministi e femminist* in cerca della pistola fumante (altro inconscio segnacolo di prolazione genitale, volendo), il transito naturale dal "lei" al "lui" come prologo dell'uniformante "voi" imposto nel Ventennio. Non capiscono, gli ermeneuti dell'apocalisse posfascista, la novità forse "matrifocale" dell'avventura meloniana e la sostanza semmai bisessuata degli Arcana imperii. Mala risposta all'allarme arcobalenato l'ha fornita lei stessa: se vi piace chiamatemi Giorgia. È lo stilnovo di Palazzo Venezia... Pardon: Palazzo Chigi.

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