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Immigrazione, Italia invasa per far cadere il governo: chi c'è dietro il piano

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Fausto Carioti
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L'ordine di scuderia dato da Enrico Letta è: cambiare argomento. Spostare l'attenzione dalla marcia pacifista, che ha lasciato ferite profonde e aperto nuove divisioni nel Pd, ai barconi delle ong davanti alle coste della Sicilia. Per un partito uscito umiliato dalla giornata di sabato, che non sa con chi allearsi alle regionali in Lazio e Lombardia, ossia se guardare alla propria sinistra (Giuseppe Conte) o a ciò che ha a destra (Carlo Calenda e Matteo Renzi), e presto dovrà infliggersi nuove ferite col decreto per l'invio delle armi in Ucraina, attaccare il governo sulla gestione degli immigrati significa andare sul sicuro e ricompattarsi attorno alle vecchie parole d'ordine.

Il bersaglio è lo «sbarco selettivo», ossia la decisione di Matteo Piantedosi e degli altri ministri di garantire accoglienza a chi, su quei barconi, ha bisogno di assistenza sanitaria, e non agli altri immigrati.

L'ombrello aperto dall'esecutivo ne protegge molti: dall'imbarcazione Humanity 1, che ne aveva 179, durante la notte tra sabato e domenica ne sono stati fatti scendere 144 e solo 35 sono rimasti a bordo, ossia i maschi adulti senza problemi di salute. Non basta, per il Pd. I cui esponenti ieri hanno intonato per tutto il giorno lo stesso refrain: «Il soccorso è completato quando tutti scendono in un porto sicuro».

 

TUTTI E SUBITO
Nessuna selezione all'ingresso, insomma: per loro, chiunque si presenti davanti a un porto italiano ha il diritto di essere ammesso sul territorio nazionale. Letta sostiene che è «inaccettabile» parlare, come fanno i ministri, di «carico residuale e sbarco selettivo». Il vicesegretario Giuseppe Provenzano si presenta al porto di Catania e dice che quella del governo è «una discriminazione gravissima ed arbitraria». Mentre per Elly Schlein, che potrebbe essere la candidata della sinistra piddina alla segreteria, quella selezione «è arbitraria: hanno diritto individuale a chiedere asilo. Sbarco ora!». Identici concetti, parole simili per tutti, "ispirate" dalle indicazioni di Letta, in modo da mostrarsi un blocco unito, almeno su questo. Nonché distinto dai Cinque Stelle di Conte, che si sono guardati bene dal fare fronte col Pd nella battaglia per il "diritto allo sbarco" di tutti gli immigrati.

La richiesta (e la speranza) di Letta e dei suoi è che il ministro dell'Interno si presenti in parlamento per riferire sulla vicenda, in modo da inscenare il processo in aula, accusare Giorgia Meloni e i ministri di comportamento disumano, presentare mozioni di condanna e così tenere alto per giorni il livello dello scontro sul tema dell'immigrazione.

 

Il Pd ne ha bisogno anche perché, se non si parla di questo, il confronto politico si concentra inevitabilmente sul sesto decreto per l'invio delle armi all'esercito di Kiev. Il governo non ha ancora fissato una data e, a quanto dicono fonti di palazzo Chigi, nemmeno sarebbe necessario il passaggio in parlamento. Ma il tema è già stato reso incandescente dalla manifestazione di Roma, che i movimenti pacifisti avevano organizzato anche per dire "no" alla nuova spedizione di armi, e ormai è sicuro che il provvedimento sarà sottoposto alle Camere. E quando accadrà, per il Pd saranno dolori.
La marcia pacifista ha complicato molto la situazione.

«C'è un prima e c'è un dopo», spiega uno dei parlamentari che sabato ha preferito rimanere a casa e ora è preoccupato per ciò che accadrà nel suo partito. Le contestazioni e gli insulti a Letta, e il raffronto con l'accoglienza riservata dal "popolo della pace" a Conte, hanno lasciato il segno.

Non ci sono dubbi che Letta quel decreto lo voterà, seguendo la linea tenuta durante il governo Draghi, e che questa sarà anche la posizione ufficiale del partito. Lo stesso segretario, di fatto, lo ha già anticipato nell'intervista rilasciata al quotidiano dei vescovi, Avvenire: «Il nostro atteggiamento sarà in linea con quello che abbiamo fatto dal 24 febbraio in poi». Lo voterà anche buona parte del suo partito, iniziando da Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa nonché leader della corrente moderata Base Riformista, che si è tenuto a gelida distanza dalla manifestazione.

LA SFIDA CON I CINQUE STELLE
Ce ne sono altri, però, che non vogliono lasciare il monopolio della protesta pacifista ai Cinque Stelle, che a loro volta ignorano la vicenda degli immigrati e non vedono l'ora, per rubare altri consensi al Pd, di aprire lo scontro su quel provvedimento (dopo avere votato i cinque precedenti). «Non sarà una discussione facile come lo è stata quella degli altri decreti per l'invio delle armi. I fatti di sabato costituiscono un precedente importante», spiega il parlamentare piddino. «Quando si voterà quel decreto, tra i nostri ci saranno riserve e assenze, e probabilmente anche voti contrari». Sino a pochi giorni fa sarebbe stata un'eresia solo pensarlo, visto che a chiedere all'Italia di fare la propria parte nelle forniture militari a Kiev ci sono la Ue e il democratico Joe Biden. Ma dopo quanto visto in piazza a Roma, non più. 

Occhio quindi all'ala sinistra del Pd, quella dei Provenzano, delle Schlein e di Andrea Orlando: è lì che il rapporto con il "popolo della pace" è più stretto e i mal di pancia dinanzi a quel decreto sono più forti. Servirebbe una leadership in grado di imporre una linea al partito. Ma Letta è debole, per la batosta del 25 settembre, per la continua discesa nei sondaggi e per il trattamento che gli ha riservato la piazza, e non ci sarà un altro segretario sino al 12 marzo. E allora forza barconi e forza sbarchi, che almeno su questo sono tutti con lui.

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