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Meloni, ora la vogliono a testa in giù

Francesco Storace
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No, a Bologna l'altra sera non c'era solo quell'orrendo manichino che pretendeva di raffigurare Giorgia Meloni a testa in giù. Una trovata macabra che ha lasciato tutti a bocca aperta. In realtà i manichini, ma in carne ed ossa, erano almeno duecento, i rincretiniti che sfilavano sotto la minaccia aperta al capo del governo e a nessuno che gli fosse venuta l'idea, il coraggio, il fiato e persino l'intelligenza di togliere di mezzo quel fantoccio. Bologna la Dotta ha vissuto la giornata del somaro. Gli imbecilli che fanno la faccia feroce. Gli antagonisti che pensano di imitare la squadra di calcio, il Bologna che tremare il mondo fa.
 

 

NON CHIAMATELI STUPIDI
Ma è ora di smetterla di trattarli come scemi e basta. Perché quando episodi come questi si ripetono in varie città d'Italia, qui appendono il manichino, lì bruciano le fotografie con la faccia della Meloni, in un altro luogo ne pestano i militanti, se non siamo ad un passo dalla minaccia terroristica poco ci manda. E lo Stato deve tornare ad avere la S maiuscola.
Certo, poi si può anche fare il conto delle solidarietà politiche arrivate alla Meloni da ogni dove, magari mancheranno Fratoianni e Boldrini, ma non si può avere tutto dalla vita. E magari Enrico Letta ha delegato le sue capigruppo Serracchiani e Malpezzi perla faticosa incombenza.


Ma il punto non sta più nemmeno qui. Perché se persino la sinistra estremista si dovesse sbracciare per gridare che non si possono fare certe cose, i primi a non crederci sarebbero proprio i suoi elettori. Perché ormai ci sono politici che da mesi si cibano di odio militante e odiano chi ha conquistato elettoralmente, democraticamente, civilmente, il governo dell'Italia un giorno di settembre. Ci vogliono le maniere forti dello Stato, ecco. Quel manichino con tanto di abiti militari è stato preparato con cura, ci hanno lavorato diversi delinquenti, lo hanno appeso in pieno centro di Bologna e in città non ci sono investigatori capaci di trovare chi è stato? Ma almeno li seguite i social, il Cua di Bologna, così si firmano gli antagonisti? O quelle simpatiche attiviste del Laboratorio Cybilla, pronte a rivendicare su Facebook il loro gesto di intolleranza beccandosi pure una valanga di insulti sulla loro pagina?
Ci permettiamo di rivolgere una domanda al Questore, al Prefetto, e anche al Rettore dell'Università di Bologna, visto che questi teppisti già minacciano la piazza per la prossima manifestazione che vedrà in città proprio Giorgia Meloni, presidente del Consiglio: ma li conoscete? Siete in grado di identificarli? Frequentano l'ateneo?

 

 

I responsabili vanno individuati senza ritardo. E visto che non li metterete in galera, possiamo contare sul fatto che sarà inibita loro la frequentazione dell'Università?
O tutto deve procedere così, fino alla prossima follia? I media locali hanno aiutato a ricostruire l'azione proditoria, peraltro documentata e rivendicata persino sulle pagine social degli attivisti: essa è stata organizzata sotto le Due Torri, in Piazza di Porta Ravegnana durante un corteo, per le vie del centro, contro i rincari e, come recitava uno slogan «per una bella vita», cui hanno partecipato circa 200 persone. Neanche una moltitudine come quelle di un tempo nel capoluogo emiliano. Bastava mezzo idrante per sgomberarli, o una bottiglietta di coca cola zero.

 

TERRORISMO
Questa è roba che richiama il terrorismo di un tempo e stateci attenti. Si può anche ringraziare chi condanna robaccia del genere ma al fondo resta l'amarezza di chi sa che poi queste azioni criminali restano in cima ai loro pensieri. Chi sfila esibendo un manichino raffigurante Giorgia Meloni appeso a testa in giù dimostra la stessa cultura intollerante e violenta da cui negli anni 70 si sviluppò il terrorismo assassino. E fanno pena proprio quelle duecento facce da svergognati che guardavano il fantoccio, come inebetiti, assatanati, probabilmente drogati. Sono protetti proprio da quelli che gridano allo schifo per quel manichino, «queste cose non si fanno», e poi tra di loro si applaudono, esprimono fierezza, «quella fascista va appesa», «sfondiamo tutto». Sono quelli che giustificavano i collettivi della Sapienza non più tardi di dieci giorni fa... 

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