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Orazio Schillaci: "Vaccino, mai più obbligo. Il Covid è agli sgoccioli"

Orazio Schillaci

Pietro Senaldi
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«Se un paio di mesi fa qualcuno mi avesse detto che sarei diventato ministro, lo avrei preso per matto. Ho parlato per la prima volta di governo con Giorgia Meloni due giorni prima che lei mi indicasse come ministro della Salute. In precedenza l'avevo incontrata solo in alcune occasioni ufficiali. Ricordo un evento, tre anni fa, da rettore dell'Università Tor Vergata».

Cosa vi siete detti nel colloquio decisivo?
«Non è stato un esame. Le ho spiegato quello che penso della Sanità italiana e della pandemia e quali sono le priorità».

E la Meloni le ha detto quello che pensa lei?
«Mi ha ascoltato. Non ho ricevuto un mandato politico stringente, solo l'indicazione di far funzionare le cose. Io mi ritengo un civil servant, un esperto a disposizione della Nazione».

Quindi potrebbe essere ministro anche di un governo di centrosinistra?
«Questo no, e non mi interesserebbe neppure. Non sono un tecnico per tutte le stagioni. Io non ho mai fatto politica ma ho un pensiero politico preciso, che si rispecchia nell'orientamento dell'attuale governo, anche se sono convinto che uno dei miei compiti principali sia depoliticizzare la sanità italiana, che in questi ultimi anni, complice la pandemia, è stata teatro di forti scontri ideologici. Tutto l'opposto di quello che dovrebbe essere».

Proprio come il suo omonimo, il centravanti Totò, il ministro Orazio Schillaci, romano figlio di un avvocato di origini catanesi, 56enne luminare della Medicina Nucleare, è sbucato all'improvviso, tra una selva di teste e non di gambe, e ha piazzato lo spunto vincente nella corsa alla successione di Speranza. «Non mi tocchi il calcio», mette le mani avanti, «sono juventino, è un momento difficile. Temo che morirò senza vedere alzare una Champions come si deve...». Sta di fatto che lo spunto che l'ha portato al secondo piano di Lungotevere Ripa 1 è da bomber di razza. 

«Non ho sgomitato» precisa l'interessato. «Altri lo hanno fatto e forse gradirebbero essere al mio posto. Sono gli stessi che mi hanno rifilato ultimamente qualche colpo basso, attribuendomi falsità. Sono uno studioso, ho sempre pensato a lavorare e basta, poi qualcuno vicino al Premier deve aver fatto il mio nome...».

 

Una disgrazia?
«Al contrario, ringrazio chi ha avuto fiducia in me. Resta però il cruccio della gestione mediatica, la comunicazione. La stampa contraria al governo torna ciclicamente sul tema Covid per trattare tecnici e politici del centrodestra come persone venute giù con la piena. Non si esita a mettermi in bocca cose che non ho mai detto né pensato».

Per esempio?
«Non ho mai messo in dubbio l'utilità dei vaccini né ho mai detto che andasse tolto l'obbligo di mascherina negli ospedali. Sono medico e uomo di grande prudenza».

Però è cambiato tanto rispetto alla gestione di Speranza...
«Negli ultimi tre anni si è parlato solo di Covid, perché il virus ha sconvolto il mondo. Oggi però l'epidemia è cambiata. Si dovrebbe iniziare a parlare di Covid 23 anziché di Covid 19, per far capire a tutti che ormai la malattia è profondamente diversa da quella originaria. La forma attuale è meno aggressiva e sappiamo curare meglio. Le epidemie durano due-tre anni, è sempre andata così nella storia, con o senza vaccini, come avvenuto cento anni fa per l'influenza spagnola».

Emergenza finita quindi?
«Spero che con la prossima primavera ce la lasceremo alle spalle. La situazione negli ospedali e nelle terapie intensive è sotto controllo».

E i vaccini?
«L'indicazione è nota: quarta dose per i fragili e vivamente consigliato il vaccino per l'influenza, che quest' anno può essere perfino più rischiosa. La speranza è che l'autunno prossimo si possa fare una sola iniezione, che copra sia il Covid sia l'influenza».

Perché ha fatto rientrare prima al lavoro i medici no vax?
«In tutto il resto del mondo erano già rientrati. Abbiamo anticipato di poche settimane sia per un problema d'organico sia per una scelta filosofica: sul Covid e i vaccini bisogna andare verso una riconciliazione nazionale. Strano che chi ci ha criticato per questa decisione siano le stesse persone che predicano l'inclusione in ogni altra situazione».

Cosa pensa della sentenza della Corte Costituzionale sulla legittimità dell'obbligo vaccinale?
«Rispetto le sentenze della Corte Costituzionale. In questo caso la Consulta ha ritenuto inammissibile il ricorso contro l'obbligo vaccinale introdotto dal governo Draghi nel 2021 per il personale sanitario e scolastico. In realtà l'obbligo era terminato per quasi tutte le categorie nello scorso mese di giugno, quando era cessato lo stato d'emergenza, e sarebbe scaduto per il personale sanitario il prossimo 31 dicembre. Noi abbiamo anticipato al primo novembre questa scadenza. Il presidente Meloni ha sempre detto di essere contraria all'obbligo per i vaccini Covid, ritenendo l'informazione più efficace della coercizione, e non mi pare abbia cambiato idea».

Il green pass non tornerà più?
«Non rimetteremo l'obbligo vaccinale e saremo sempre attenti a mediare il diritto alla salute con il rispetto delle libertà personali».

In tanto sostengono che non ci si possa fidare di un dottore che non si è vaccinato perché significa che non crede nella scienza...
«Affermazione alquanto superficiale, squisitamente politica. Sul Covid è tempo di dare un messaggio di discontinuità con il passato. La popolazione è esasperata, perfino in Cina ormai si ribellano a chiusure e divieti. Siamo entrati in un'altra fase, non più degli obblighi ma della persuasione: responsabilizzare i cittadini, non obbligarli. Oggi in Italia ci sono temi sanitari più importanti e impellenti del virus».

A cosa si riferisce?
«Uno degli effetti collaterali più dannosi della lotta al Covid 19 è stato aver costretto la maggior parte delle strutture ospedaliere a concentrarsi sul contrasto al contagio, con la conseguenza di un forte rallentamento o addirittura della sospensione delle altre attività sanitarie, per cui sono risultate compromesse le iniziative di prevenzione, soprattutto in ambito oncologico. È urgente ripristinare subito quelle attività di ricerca, informazione e prevenzione che negli scorsi anni hanno consentito di ottenere risultati importanti nella lotta al cancro».

La politicizzazione è stata un ostacolo alla lotta al Covid?
«Ci sono dati difetti di comunicazione, con messaggi tanto semplificatori da rivelarsi contraddittori e fuorvianti. Ma è stata inaccettabile la strumentalizzazione politica. La scienza non è di destra né di sinistra. Credo che chi non si è vaccinato lo abbia fatto per paura; una contraddizione, se si pensa che in percentuale proprio tra i non vaccinati si è registrato il maggior numero di decessi».

E quanto agli effetti collaterali dei vaccini?
«A oggi nessuno sa davvero nulla, servono annidi studi e statistiche per capirli. Certo nell'immediato futuro avremo un aumento della mortalità per tumori e patologie cardiovascolari, perché in tre annidi pandemia sono saltate troppe visite di controllo. Anche per questo bisogna voltare pagina».

Si parla di una commissione d'inchiesta sulla gestione della pandemia. Cosa ne pensa?
«Le ho detto, non politicizziamo e non facciamo processi. Ma il Parlamento ha tutto il diritto di fare chiarezza su quanto è accaduto e quanto accade e accadrà».

Il Covid ha dimostrato che il sistema sanitario nazionale funziona o che non funziona?
«Gli italiani, dopo i giapponesi, sono quelli che vivono più a lungo al mondo. Siccome non siamo la seconda nazione più ricca del pianeta, è logico che il merito sia del nostro servizio sanitario pubblico».

Ma gli ultimi dieci anni di vita li passiamo in condizioni peggiori di molti altri popoli occidentali...
«Questo è il male da curare, la cronicizzazione delle patologie che affligge molti anziani e drena il 40% delle risorse a disposizione. Le conseguenze sono la saturazione dei posti letto negli ospedali e il grave ritardo nelle visite di controllo per il dilatarsi dei tempi di attesa».

 


Cos' ha in mente per porvi rimedio?
«Ci sono tante cose da fare. Una delle più importanti è la prevenzione, fin nelle scuole. I ragazzi sono spugne, imparano subito. In questi anni ci si è giustamente preoccupati molto di far capire ai giovani, fin dai primi anni sui banchi, che non bisogna fare discriminazioni in base agli orientamenti sessuali. Se introducessimo un'ora di educazione alimentare e di corretti stili di vita, che sono argomenti che penso interessino molto i giovani di oggi, assicureremo agli anziani di domani molti anni di vita sana in più. Credo che questa sia una priorità nella scuola, molto più di altre alle quali oggi si dà importanza».

Una battaglia culturale, come quella contro il fumo del suo predecessore, Gerolamo Sirchia?
«Lui è passato alla storia per l'introduzione del divieto di fumo nei locali pubblici, che ha fatto guadagnare agli italiani miliardi di ore di vita. A me piacerebbe essere ricordato per aver insegnato agli italiani a prendersi cura di loro stessi e prevenire le malattie fin da giovani».

Quali altri obiettivi si pone?
«L'obiettivo finale è che tutti i 21 sistemi sanitari regionali che abbiamo in Italia garantiscano le stesse condizioni di cura. Bisogna riuscire a limitare i viaggi della speranza negli ospedali del Nord a pochi casi, offrendo valide alternative sul territorio».

Ci possiamo permettere una sanità gratis per tutti, quando nel resto del mondo di fatto non c'è?
«L'articolo 32 della Costituzione sancisce l'universalismo delle cure come caposaldo della Repubblica. Lavoriamo su prevenzione e organizzazione. Oggi facciamo tanti esami inutili, i ricoveri sono lunghi e prendiamo troppe medicine, per un eccesso prescrittivo dovuto anche a una dipendenza da farmaco dei cittadini, spesso ingiustificata. Ripeto, dobbiamo insegnare alle persone a curarsi».

Sta denunciando le lobby del farmaco?
«Non denuncio nessuno, se non una realtà fatta di cittadini farmaco-dipendenti che ha costi e non cura. Ora dobbiamo investire 40 milioni per combattere la resistenza agli antibiotici di malati intossicati per l'uso indiscriminato che ne hanno fatto, al punto che le medicine non hanno più effetto sudi loro, che sono perciò diventati difficilmente curabili».

Cosa intende quando afferma che bisogna lavorare sull'organizzazione?
«Manca una medicina del territorio forte. Il pronto soccorso non può essere il solo presidio, servono strutture intermedie per farsi curare senza dover andare in ospedale».

Una sorta di multi-medica pubblica di quartiere?
«Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stanzia fondi per creare infrastrutture. Non vanno usati solo per fare case di comunità».

I medici generici devono restare liberi professionisti?
«Sono liberi professionisti convenzionati. Non li ho ancora incontrati. Certo vanno coinvolti maggiormente, integrati nel servizio sanitario, responsabilizzati e gratificati».

Intende gratificati economicamente?
«Tutto il personale sanitario va gratificato, e anche loro. Abbiamo eccellenze scientifiche ma perdiamo medici che abbiamo formato a nostre spese e li perdiamo spesso solo per ragioni economiche. È un'emigrazione che va fermata. I medici sono persone normali, hanno un mercato, noi li trattiamo come se fossero dei missionari».

Tra due mesi si vota in Lombardia e in Lazio: la sinistra per vincere attaccherà il modello lombardo sul Covid e glorificherà quello laziale...
«La Regione andata meglio è il Veneto, la Lombardia ha avuto più morti perché durante la prima ondata è stata la sola investita massicciamente, prima della chiusura generale. Milano è un'eccellenza medica ed è superficiale e malizioso sostenere che ha avuto più morti perché il sistema è troppo ospedalizzato, però certo va rafforzato il territorio, ma questo significa riscrivere le regole, rifare l'organizzazione, in tutto il Paese».

Verso quale modello?
«Semplificazione, responsabilizzazione, più cure a casa, potenziare la presa in carico del malato per evitare i ricoveri inappropriati, prevenzione».

I governatori del centrosinistra si lamentano, sostengono che questo governo abbia tagliato le risorse alla Sanità. È vero?
«Abbiamo aumentato gli stanziamenti di 2,2 miliardi rispetto al governo precedente».

Andranno tutti in bollette...
«Sono più soldi di quanti ne abbiano stanziati i loro governi per anni, al netto del Covid, e serviranno anche per contrastare gli effetti del caro energia ma non solo. Anche se il piatto piange dappertutto. Se il bilancio di una Regione è fatto all'80% di spese sanitarie, è ovvio che il settore risente di qualsiasi effetto congiunturale. Ricordiamo però che la Sanità è stata depauperata dal 2013 al 2019, quando non governava il centrodestra. Questo, chi fa una battaglia politica sulla Sanità, se vuole essere onesto deve ricordarlo sempre».

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