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Berlusconi, l'intervista a Libero: "Sogno un grande partito conservatore, cristiano e liberale"

Silvio Berlusconi

Pietro Senaldi
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«Dal 2023 gli italiani devono aspettarsi certamente un anno di duro lavoro, nel quale però non mancherà qualche segnale di speranza. Ci stiamo applicando perché sia anche l’anno della ripresa». 

Cosa la preoccupa maggiormente?
«Uno scenario internazionale nel quale non mancano davvero le nuvole nere all’orizzonte, dalla crisi ucraina che sembra non finire mai al riaffacciarsi dell’incubo Covid dalla Cina, con il rischio della diffusione di nuove varianti anche in Occidente».

Ma lei è anche un grande ottimista, della volontà e della ragione: su cosa possono confidare gli italiani?
«Innanzitutto su loro stessi, sulla grande capacità che la nostra gente ha sempre dimostrato nell'affrontare le difficoltà, sul valore delle nostre imprese, dei nostri lavoratori, della nostra cultura. E poi possono contare su un governo che è amico di chi lavora e di chi crea lavoro, un governo impegnato a favorire la crescita tutelando i più deboli, eliminando i vincoli burocratici, attenuando la pressione fiscale».

Il presidente Silvio Berlusconi ha atteso il 2023 a casa sua, a villa San Martino, ad Arcore, dove sta trascorrendo l'intero periodo natalizio con la compagna, l'onorevole Marta Fascina. Parenti, amici, stretti collaboratori, un clima caldo e famigliare, in una residenza adeguatamente addobbata per le feste. Ha sentito telefonicamente per gli auguri il presidente Mattarella e la presidente Meloni e tutta la sua squadra di parlamentari e ministri. «Ne approfitto per rimettermi pienamente in forma per scendere a Roma alla riapertura dei lavori parlamentari». Il tono presidenziale è sempre contagiosamente positivo.

Presidente, la finanziaria è arrivata in porto dopo una navigazione burrascosa: perché c'erano troppi pochi soldi e ciascun partito della maggioranza voleva usarli in maniera diversa o per quale altra ragione?
«In realtà avevamo poco tempo a disposizione e risorse limitate, molte delle quali le abbiamo dovute impiegare per scongiurare gli effetti del caro-energia. Tuttavia, alcuni risultati importanti li abbiamo ottenuti: un primo aumento delle pensioni minime, almeno per i più anziani - ma rimane l'impegno a portarle tutte a 1000 euro, entro la legislatura - e sono stati realizzati anche alcuni tagli fiscali. Possiamo dire che è l'inizio di un percorso che continuerà nei prossimi anni».

Che voto dà alla finanziaria, cosa si poteva evitare, cosa andava fatto e cosa farete ancora prossimamente?
«Le do la sufficienza piena, e anche qualcosa in più. Probabilmente dovremo mettere a punto un metodo di lavoro collegiale, evitando per il futuro di scaricare tensioni sul lavoro parlamentare. Ma eravamo in una fase di rodaggio. In due mesi probabilmente non si poteva fare di più. Per il futuro gli obiettivi che abbiamo indicato in campagna elettorale, dalla flat-tax all'abolizione delle autorizzazioni preventive, dalla totale defiscalizzazione e decontribuzione per le nuove assunzioni dei giovani all'aumento delle pensioni, sono obiettivi che rimangono assolutamente validi e necessari. Senza dimenticare una riforma della giustizia in senso garantista, secondo le linee indicate dallo stesso ministro Nordio, come ha ribadito il Presidente Meloni nella conferenza stampa di fine anno».

Lei è sceso in campo da quasi trent'anni: cosa ha imparato dell'Italia da quando è diventato anche un politico?
«Due cose, una negativa, l'altra positiva. Quella negativa è la tremenda difficoltà della riforma dello Stato: le resistenze politiche sono poca cosa rispetto a quelle strutturali di un sistema pubblico refrattario al cambiamento. Per questo negli anni in cui abbiamo governato, pur realizzando cose molto importanti, non abbiamo potuto portare a termine quella rivoluzione liberale che continuo a considerare come assolutamente necessaria».

E quella positiva?
«È la grande statura morale e civile del nostro popolo. Spesso siamo troppo critici verso noi stessi: gli italiani sono capaci di cose straordinarie, di generosità, di tenacia, di spirito di sacrificio. Sono capaci di creare capolavori artistici ed eccellenze tecnologiche. Sono un popolo civile e accogliente. E se posso aggiungere una notazione personale, gli italiani sono stati capaci negli anni di farmi sentire una considerazione e un affetto straordinario anche, anzi soprattutto, nei momenti più difficili».

Quali sono i mali che bloccano il Paese?
«Sarebbe fin troppo facile dire: la politica. In effetti nel sistema politico ci sono molte cose che non funzionano, e Forza Italia nel 1994 è nata anche per questo. Però non basta rifugiarsi in una generica anti-politica, altrimenti si finisce come i grillini, che della vecchia politica hanno acquisito molto in fretta tutti i difetti. Il problema più grave sono le commistioni fra la politica e altri ordinamenti dello Stato, come alcuni settori della magistratura o della pubblica amministrazione, che, per definizione, dovrebbero essere neutrali e basarsi sulla competenza e sul merito».

I grandi retroscenisti della politica dicono che il governo durerà fino alle Europee del 2024. Dopo ogni scossa potrebbe essere fatale: cosa ne pensa, qual è lo stato di salute del centrodestra?
«Per quanto ci riguarda, il nostro orizzonte è il 2027. Gli italiani ci hanno votato per governare il Paese per cinque anni. L'instabilità delle formule di governo è uno dei mali di questo Paese. Solo noi e De Gasperi, nella storia della Repubblica, siamo riusciti a far durare per un'intera legislatura, dal 2001 al 2006, la stessa maggioranza con lo stesso presidente del Consiglio. Il centro-destra, del resto, è sempre stato unito dal 1994, quando io l'ho fondato, con un percorso che ha consentito per la prima volta ad una esponente che viene dalla storia della destra italiana di guidare un governo. Non credo che questa unità verrà meno».

Premesso che la sua leadership è insostituibile, quali progetti ha per Forza Italia e per il centrodestra?
«Semplicemente quello di lavorare per onorare gli impegni con gli italiani. Perché questo sia possibile occorre, non solo da un punto di vista numerico ma politico, una presenza forte e fattiva del centro liberale, cristiano, garantista, il Centro legato all'Europa e all'Alleanza Atlantica. Quel Centro che solo noi rappresentiamo come componente italiana del Partito Popolare Europeo».

Assumono sempre maggiore consistenza le voci che vorrebbero che la Meloni lavorasse con gli alleati a un grande partito conservatore: secondo lei sarebbe possibile o Forza Italia, Lega e Fdi sono troppo diversi?
«È un mio antico sogno, fin dal 1994. Sarebbe un passo importante verso il compimento della democrazia bipolare in Italia. Un partito di questo tipo dovrebbe essere qualcosa di simile al Partito Repubblicano negli Stati Uniti, quello di Lincoln e di Eisenhower, di Reagan e di Bush. Dovrebbe essere un partito plurale, al cui interno le idee liberali, cristiane e garantiste, che noi rappresentiamo, dovrebbero avere un ruolo fondamentale».

È vero che rimprovera alla Meloni di voler fare tutto di testa sua e che non disdegnerebbe degli appuntamenti periodici, come faceva lei con Bossi quando era premier?
«Ogni paragone fra leader politici diversi ha molti limiti. Giorgia Meloni ha la responsabilità di guidare il governo e lo fa, comprensibilmente, usando il metodo di lavoro al quale è abituata. Quello che è importante è che non manchi la collegialità nelle decisioni».

Salvini ha perso la maggior parte dei voti guadagnati al Sud, dove invece Forza Italia tiene...
«Nella storia nessun processo è irreversibile. Premesso questo, certamente la Lega ha maggiore consuetudine e un più radicato insediamento nel Nord, mentre Forza Italia è storicamente un grande partito nazionale, con radici profonde anche nel Mezzogiorno. Del resto, proprio i governi da me guidati sono quelli che più hanno investito risorse per il Sud nella storia della Repubblica».

Cosa pensa della crisi drammatica del Pd, un partito nato da una fusione a freddo fondamentalmente solo per sbarrarle le strade del governo?
«La risposta è implicita nella domanda. Il Partito Democratico è nato mettendo insieme storie politiche diverse, tutte tendenzialmente illiberali, da quella comunista alla sinistra cattolica, unite soprattutto dalla volontà di gestire il potere sempre e comunque. Dal 2011 allo scorso anno il Pd ha governato praticamente sempre, pur non avendo mai vinto le elezioni e questo dimostra una notevole abilità nelle tattiche parlamentari e un forte rapporto con gli apparati pubblici, ma anche una crescente distanza dal suo stesso elettorato. Questa involuzione, che rischia di lasciare ai Cinque Stelle la leadership dell'opposizione, non è un bene per l'Italia, ma difficilmente le cose cambieranno».

Renzi la riempie di complimenti. C'è vera stima reciproca o corteggia solo i suoi elettori?
«Chiunque provi a interpretare le intenzioni di Renzi è destinato a essere presto smentito dai fatti. Però non gli si può certo negare di essere uno dei leader politici più lucidi e brillanti. Ho detto più volte che si trova a giocare nella metà campo sbagliata. Del resto, però, così si è presentato alle elezioni e il voto degli italiani va rispettato».

Calenda viceversa fa i complimenti alla Meloni e recluta la sua classe dirigente tra ex forzisti: cosa pensa di lui e cosa ci trovano Carfagna, Gelmini eccetera?
«Questa è una domanda che dovreste rivolgere a loro. Forse li unisce la scarsa consuetudine con la parola coerenza».

Cosa pensa della Moratti, una sua creatura, che si candida contro il centrodestra in Lombardia?
«Ho per antica abitudine quella di parlare delle persone solo quando ne posso parlare bene. Quindi preferisco non dire nulla».

Lei non ha mai nascosto di non apprezzare i grillini: il fatto che non siano scomparsi malgrado le drammatiche prove di governo è dovuto unicamente al reddito di cittadinanza?
«È dovuto al fatto che sanno interpretare con una certa abilità il disagio di alcune aree del Paese e l'incapacità della politica di dare delle risposte. A questo si aggiunge il vuoto a sinistra determinato dall'esaurimento del Partito Democratico, che lascia ampi spazi nei quali il Presidente Conte si è infilato con indubbia abilità».

Che idea si è fatto dello scandalo che sta travolgendo l'Europarlamento?
«Nonostante quello che ho subito, rimango garantista con tutti e continuo a credere nella presunzione di innocenza fino a condanna definitiva. Valuteranno i giudici gli aspetti penali, se ci sono, ma c'è un dato politico molto grave: difendere e promuovere gli interessi di un Paese come il Qatar, uno Stato autoritario pericolosamente legato all'Iran, sarebbe scandaloso anche se non fosse stato commesso alcun reato».

Perché l'Europa è solo uno spettatore pagante nel conflitto in Ucraina?
«Non arriverei a dire questo, ma certamente l'Europa paga il fatto di non avere un'unica politica estera e di difesa come noi chiediamo da molti anni. Questo ci impedisce di sederci da protagonisti ai tavoli nei quali si decidono le grandi scelte mondiali».

La Meloni ha un piano per riformare l'Europa: meno burocrazia e meno poteri alla Commissione, più pragmatismo e autonomia per gli Stati membri. Lei condivide il progetto?
«Io penso al modello degli Stati Uniti, nel quale ogni singolo Stato gode della più ampia autonomia, in ogni campo. Basti pensare che in alcuni Stati esiste ancora - purtroppo - la pena di morte, altri Stati l'hanno abolita da decenni. Ma nelle materie di competenza federale, come la politica estera e la difesa, c'è una totale unità e un forte attaccamento alla bandiera. D'altra parte, negli Stati Uniti i vertici dell'Unione sono eletti direttamente dal popolo americano, e non esiste ovviamente il diritto di veto per i singoli Stati. Se l'Europa deve diventare una vera comunità di popoli unita da valori e interessi comuni, con un ruolo da protagonista nel mondo, queste due riforme, elezione diretta del Presidente della Commissione Europea e abbandono del principio dell'unanimità nelle decisioni, sono riforme assolutamente indispensabili».

Il governo ha accentuato lo scontro con la Francia, forse il Paese che lei conosce meglio tra i partner Ue e che più l'ha combattuta l'ultima volta in cui lei ha guidato il governo: davvero Parigi ci tratta come i suoi camerieri ed è pertanto giusto pestare i pugni sul tavolo?
«Io non ho mai "pestato i pugni sul tavolo" anche quando ho ritenuto che il governo francese dell'epoca stesse commettendo gravi errori, per esempio in Libia, le cui conse guenze paghiamo a tutt'oggi. In Europa dobbiamo contare di più costruendo alleanze, non contrapposizioni. Questo non toglie che l'atteggiamento della Francia sulla questione migranti sia stato profondamente sbagliato e ingeneroso nei nostri confronti. Non è questa la strada per costruire l'Europa, e bene ha fatto il nostro governo a farlo notare».

Noi combattiamo Putin, ma il nemico vero è la Cina?
«È il grande tema del 21° secolo. Io ho fatto tutto il possibile, quando governavo, per legare la Russia all'Europa e all'Occidente, proprio in vista del confronto sistemico con la Cina che già si prospettava. Eravamo giunti ad un passo da questo con gli accordi di Pratica di Mare, firmati non per caso proprio in Italia, ed avevo addirittura convinto Putin - ora posso rivelarlo - a considerare la prospettiva dell'adesione all'Unione Europea. Purtroppo, è una strada che è stata abbandonata per scelte miopi non solo da parte russa. Oggi certamente l'aggressione all'Ucraina è inaccettabile e l'Occidente deve continuare a rispondere con unità e con fermezza, come ha fatto fino ad oggi, ma in prospettiva bisogna far cessare un massacro dai costi politici, economici e umani davvero insostenibili. La Cina con il suo progetto di globalizzazione è per noi la vera insidia di questo secolo. Per questo era importante il mio progetto di far entrare la Russia nell'Unione Europea che così sarebbe diventata inattaccabile. Comunque, è indispensabile cercare il dialogo con questa Cina ma nell'ambito di un sistema di regole condiviso».

«E adesso basta domande, per favore! Me ne avete fatte troppe! E comunque, tanti, tanti, tanti cordialissimi auguri».

Mi lasci con un pensiero su Papa Ratzinger...
«Sì, certo. La sua morte addolora tutti i cristiani del mondo. Benedetto XVI ha dato testimonianza di profonda spiritualità, raffinata cultura e serenità nella sofferenza. Ricordo, in particolare negli anni dei miei governi coincisi con il suo Pontificato, un dialogo stretto e fecondo, basato sulla distinzione dei rapporti tra Chiesa e Stato ma anche sulla condivisione di valori fondamentali, come la tutela della vita, della pace, della giustizia e la costruzione di un'Europa consapevole delle proprie forti radici cristiane». 

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