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Mario Draghi, come può salvare l'Europa dalla via della Seta

Francesco Specchia
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«Qui noi abbiamo bisogno di uno zar...» . Uno zar. Quando Noah Barkin, visiting senior fellow del German Marshall Fund (uno dei più grandi think tank statunitensi fondamentale nel rapporto America-Europa) ha evocato Mario Draghi per salvare la Ue dalla Cina, il gesto ha fatto il giro del mondo. Perché la voce che circola sempre più vorticosamente a Bruxelles è questa: Supermario a capo del Global Gateway. Ossia il progetto da 300 miliardi di euro «per promuovere connessioni intelligenti, pulite e sicure nei settori digitale, energetico e dei trasporti e per rafforzare i sistemi sanitari, di istruzione e di ricerca in tutto il mondo». In pratica, trattasi della risposta del Vecchio Continente alla Via della Seta di Pechino.

Che, voluta da una Ursula von der Leyen accortasi del pericolo della colonizzazione cinese, in realtà è un po' uscita dalla carreggiata. Il Global Gateway avrebbe dovuto prevedere una serie di investimenti in infrastrutture fisiche e digitali, dalle ferrovie ai cavi in fibra ottica; il tutto per sviluppare «canali di comunicazione» tra l'Europa e le diverse diverse zone di Asia, Africa e America latina; e svincolarsi dal cappio sempre più stretto dell'influenza commerciale della Cina.

 

 

Il progetto aveva l'allure della rivoluzione. Ma, in termini concreti, la montagna partorì il topolino. A distanza di più di un anno dal lancio del Global Gateway, oggi - almeno stando a quanto scrive il South China Morning Post - a Bruxelles regna una vaporosa confusione su cosa sia realmente l'iniziativa promossa dalla Presidente della Commissione europea. Il mese scorso, in un'audizione al Parlamento europeo, i legislatori hanno sollecitato i funzionari per ricevere ulteriori dettagli: da qui, scrive la testata di Hong Kong, i parlamentari hanno appreso che i 300 miliardi di euro messi sul piatto per l'iniziativa non sarebbero «nuovi». Eppure l'iniziativa aveva il respiro grande. I settori d'investimento, sulla carta, erano molti, ma con cinque destinazioni precise: «Il digitale, perla fornitura di una rete Internet sicura; la salute per la costituzione di filiere dei medicinali e la produzione locale di vaccini. Ci sono anche i trasporti, in modalità rispettose dell'ambiente; l'educazione e la ricerca», con un focus sui programmi per le donne e i gruppi più vulnerabili, e tutte le iniziative legate all'energia e alla transizione ecologica. Tanta roba.

 


Ed è per questo che, secondo il suddetto Barkin, l'ex presidente della Banca europea ed ex premier italiano, in una riunione del cda del Global Gateway tenutasi lo scorso dicembre, è stato evocato. Se non evocato in modo esplicito, sempre più spesso citato nelle conversazioni private. Se Draghi ha salvato la Bce e la vita stessa dell'euro e rovesciato gli asfittici parametri economici d'Italia, be', l'uomo potrebbe ripetersi col Global Getaway. Questo è la tesi. D'altronde fu Draghi a congelare - primo fra i timidi europei - il memorandum d'intesa con cui, al tempo del suo gialloverdismo, l'ex premier Giuseppe Conte si stava incaprettando alla Via della Seta (primo e unico fra i membri del G7 ad aderirvi). E fu sempre Draghi che - modulando la voce in stile «whatever it takes»- disse durante quel summit che il progetto cinese «non è mai stato menzionato, nessun accenno», liquidandolo semplicemente con un «lo esamineremo con attenzione». Furono applausi dall'Europa e dall'America. Il suo ritorno via Global Gateway con un nuovo piede in Europa potrebbe, tra l'altro, preludere alla successione di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione Europea...

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