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Salone del libro, la cultura è libera solo se gestita da compagni

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Luca Beatrice
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Il Salone del libro di Torino edizione 2024 non ha ancora un direttore designato e questo potrebbe non essere un grave problema visto che per quest’anno è ancora saldo al comando San Nicola Lagioia. Per il prossimo, invece, tutto è da rifare per via, come è noto, del rifiuto di Paolo Giordano il quale ha dichiarato senza mezzi termini che lui i consulenti proposti dal ministero proprio non li vuole perché il loro appartenere all’ala destra li squalifica automaticamente. Al definitivo no si somma l’aver storto il naso per la co-direzione affidata a Elena Loewenthal, che di destra non è ma persona per bene convinta, lei sì, che la cultura sia di tutti.
 

QUATTRO QUESTIONI
Con garbo istituzionale, sconosciuto al suo predecessore, ieri il ministro Gennaro Sangiuliano ha precisato il proprio pensiero in quattro punti.
1. Il Ministero della Cultura non ha nessuna posizione nel cda del Salone, da cui il rispetto nei confronti dello statuto.
2. La richiesta di collaborazione è arrivata direttamente dagli organizzatori del Salone stesso.
3. E dopo tale richiesta il Ministero ha proposto alcuni nomi nel comitato consultivo (va specificato, non è un organo di governo ma consultivo) per garantire un pluralismo che nei fatti non c’è mai stato.
4. il più importante, Giordano dovrebbe spiegare perché non può collaborare con intellettuali del calibro di Pietrangelo Buttafuoco, Alessandro Campi e Giordano Bruno Guerri.


Ne è seguita una nota dell’Associazione Torino, la Città del Libro, proprietaria del marchio Salone Internazionale del libro, che liquida così la vicenda: per noi Giordano resta il candidato, al momento il tavolo si ferma qua e se ne riparlerà magari a giugno. Non proprio un atteggiamento propositivo. A commento, partiamo da quest’ultimo dato: se il direttore individuato è Giordano (se ne parla fin dall’estate scorsa), perché non nominarlo direttamente invece di allestire un bando (costoso) e prendere in giro gli altri 50 candidati? Bisogna ammetterlo, tocca rimpiangere il metodo Sergio Chiamparino che in accordo con l’ex ministro Massimo Bray scelse Lagioia senza alcuna procedura. Poiché non siamo né ideologici né prevenuti, ammettiamo che sia andata bene. Merito della politica è scegliere, demerito è far finta. Per l’edizione 2023 il direttore Lagioia si avvale della collaborazione di ben 17 consulenti editoriali: ad eccezione di Giuseppe Culicchia, laico nel suo tirarsi fuori dalle parti, gli altri, e tra questi Mattia Carratello, Claudia Durastanti, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Valeria Parrella, sono tutti ascrivibili a sinistra. Il loro lavoro ha fatto sì che non vi fosse nessuna possibilità di ascolto o dialogo per autori di diversa area. Cosa temeva Giordano, l’arrivo dell’armata delle tenebre?



Cosa avrebbero potuto fare tre consulenti “ministeriali” al cospetto di un fronte così compatto? Di sicuro non saremmo andati verso la parità tanto auspicata... Esiste inoltre un equivoco di fondo sul ruolo dell’intellettuale, la cui indipendenza dalla politica si richiede solo a destra, abituato a volare alto, a vivere nel proprio mondo e atterrare solo quando fa comodo. Uno scrittore messo a capo di una struttura organizzativa così complessa non può essere altro che un provvisorio prestatore d’opera: il Salone serve perché dà prestigio, titoli sui giornali, visibilità, insomma fa gola a tanti, anche al Giordano renitente che l’avrebbe impostato sullo stile monarchico assoluto di Lagioia e invece si è trovato a dover fronteggiare la nobile arte (politica) del compromesso senza averne né il fisico né le capacità. A Torino, città piena di intellos, lo stanno già martirizzando, raccontando in giro una falsissima verità, che antidemocratico è chi suggerisce gente che la pensa in maniera diversa e non chi la rifiuta per partito preso, come si usava negli ani ’70, «i fascisti (ma quali?!) non devono parlare».

 

TUTTO RINVIATO
Nella serata di ieri il comunicato della Regione Piemonte e la dichiarazione del sindaco di Torino: procedura chiusa e tutto rinviato a dopo il Salone 2023 quando si cercherà di individuare una figura condivisa per il triennio successivo, e senza la “farsa” del bando che possa riscattare la figuraccia di palta, ridisegnando gli equilibri interni tra sfera pubblica e privata, nominare una nuova governance a partire dal presidente. E con il Ministero più coinvolto a cui la Regione sembra voler chiedere uno sforzo per acquistare il marchio. Unica buona notizia, aver scongiurato Giordano che si sente “unto dal Signore”, indisponibile a considerare gli altri, neppure esistesse solo lui. Almeno per ora.

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