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Giorgia Meloni? Sinistra pronta a far fallire l'Italia purché fallisce lei

Antonio Socci
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Il probabile (futuro) segretario del Pd, Stefano Bonaccini, nei giorni scorsi ha fatto questa considerazione: «Giorgia Meloni non è una fascista. È una persona certamente capace. Ha idee molto lontane e diverse dalle mie. Dovrà dimostrare di essere all’altezza di guidare un governo come quello italiano. Sono pochi mesi che è partita. Io, anche quando critichiamo, dico a tutti: usiamo misura nelle critiche perché sono appena arrivati. Noi siamo stati al governo quasi ininterrottamente per un decennio. Il problema è che (quelli di Centrodestra, nda) ti dicono: ma perché non le avete fatte voi (le cose che dite oggi, nda)?».

In effetti gli esponenti del Pd, appena sono usciti dalle stanze del potere, hanno subito proclamato di avere tutte le soluzioni per l’Italia. Tutte quelle “soluzioni” che- guarda caso non hanno tirato fuori nei lunghi anni in cui hanno governato. Alcuni di loro hanno cominciato a criticare la Meloni perfino prima dell’insediamento del suo governo (quando c’era ancora Draghi) per i problemi che avrebbero dovuto risolvere loro.

 

Invece le parole di Bonaccini – che ho citato- manifestano buon senso e serietà. Sarebbe bene che la politica usasse sempre toni così ragionevoli. Tuttavia il candidato segretario è stato criticato dai suoi per essersi espresso in quel modo. Eppure i suoi compagni di partito, che sono stati al potere nell’ultimo decennio, avrebbero più motivi di Bonaccini per evitare toni faziosi e ostilità pregiudiziale. Infatti l’eredità lasciata alla Meloni dai governi precedenti è molto pesante e chi ha fatto “capolavori” come il “Superbonus del 110 per cento” dovrebbe avere il buon gusto di evitare di attaccare il governo che sta cercando di porre rimedio a quel disastro.

PRIME SOLUZIONI
Il Centrodestra sapeva, fin dallo scioglimento delle Camere di luglio, che l’autunno sarebbe stato caldissimo per l’inflazione galoppante e specialmente per il caro bollette e l’aumento dei carburanti (conseguenti non solo alla guerra, ma anche alla politica energetica della Ue e agli sbagli dei governi italiani). L’autunno si annunciava così caldo che Mario Draghi in luglio ha fatto di tutto, com’è noto, per fare le valigie.

Eppure il governo Meloni, insediatosi solo il 22 ottobre, è riuscito ad affrontare questi problemi senza che scoppiasse una crisi sociale e perfino senza attriti con la Ue sulla legge di bilancio. Oltretutto mantenendo l’«ottima tenuta» dell’economia italiana (come ha scritto l’altroieri il Centro Studi di Confindustria) con una crescita «migliore delle attese», scongiurando la recessione e varando quel “Piano Mattei” per l’Africa che dovrebbe risolvere i problemi del nostro approvvigionamento energetico, addirittura facendo del Sud Italia un hub europeo dell’energia. Tutto questo nei primi cento giorni.

 

Pure l’inflazione – ci dice il Centro Studi di Confindustria – è ora in netta discesa con il calo del prezzo dell’energia (così il rialzo dei tassi d’interesse dovrebbe cessare). Inoltre gli investimenti sono previsti in aumento nei primi sei mesi e continua ad aumentare l’occupazione (a dicembre + 37mila).

SPADE DI DAMOCLE
L’Italia dunque va bene. Ma c’è il resto. Non solo le due spade di Damocle sulla testa del Paese che sono le direttive green della Ue sulle auto e le case: due disastri annunciati per i prossimi anni. Ma - subito - c’è soprattutto la bomba del “Superbonus del 110 per cento” che ha creato una situazione drammatica per i conti pubblici. Il ministro Giorgetti ha dichiarato che quella dei bonus edilizi è stata «una politica scellerata» che è costata «a ciascun italiano 2mila euro a testa».

Il “Superbonus del 110 per cento” è stato una delle “geniali” idee del M5S (in aggiunta al Reddito di cittadinanza) ed è stato varato dal Conte 2, il governo giallorosso con il Pd. In campagna elettorale Letta suonava l’allarme dicendo agli italiani che il centrodestra avrebbe sfasciato i conti pubblici. Ora scopriamo la verità. L’impatto complessivo sui conti pubblici dei vari bonus edilizi secondo il Mef è attorno a 110 miliardi.

Il governo Meloni ha avuto il coraggio di metterci un punto (in queste ore cercano i modi migliori), ma già Draghi aveva capito e avvertito che era un disastro. Perché non firmò lui lo stop? Ieri Federico Fubini, sul Corriere della sera, ha scritto che «Draghi probabilmente avrebbe imposto una stretta prima, non fosse stato perla resistenza dei 5 Stelle». Ma non era più sensato arrivare a una crisi di governo con il M5S su questo? Nessuno come il governo tecnico di Draghi avrebbe potuto fermare la valanga. Ma è mancato il coraggio.

Così è toccato farlo al governo Meloni che – a differenza di quelli che lo hanno preceduto – è anche svantaggiatissimo perché non può usufruire dei colossali acquisti di titoli del debito pubblico da parte della Bce. La quale dal 2015 – cioè dal governo Renzi al governo Draghi – ha speso 730 miliardi di acquisti netti di Btp italiani. Mentre nei quattro mesi del governo Meloni nulla (anzi abbiamo dovuto sborsare alla Bce 4 miliardi per titoli in scadenza). Così ora la liquidità del Tesoro è al minimo storico. Peraltro il disastroso Patto di (in)stabilità e (de)crescita, che era stato sospeso, tornerà presto in funzione e dalla Ue ricominceranno le pressioni su Roma. Dunque la battaglia che si trova ad affrontare il governo Meloni è durissima. Occorrerebbe coesione nazionale. Ma l’opposizione vorrà dare una mano al Paese (anche prendendosi la responsabilità delle scelte fatte) o, pur di colpire il governo, sarà pregiudizialmente “contro”, anche rischiando di danneggiare l’Italia?

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