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Casa Green, Alessandro Cattaneo: "Perché può crollare il mercato"

Pietro Senaldi
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«Sono anche ingegnere nella vita, con tanto di tesi sulla fisica delle alte energie, quindi se vuole le tengo una noiosissima lezione sui rischi di una politica verde troppo spinta...».

L’Europa a trazione Ursula giusto ieri ce ne ha combinata un’altra, con il voto favorevole di Pd e M5S?
«Questa direttiva Ue sulle case verdi, che obbliga entro il 2033 ad avere un’abitazione in classe energetica “D” proprio non va bene, non tiene conto del contesto italiano e rischia di provocare un crollo del mercato immobiliare. Non possiamo costringere otto milioni di famiglie a sostenere interventi costosi in tempi brevissimi, inapplicabili e irragionevoli».

Però non è un vantaggio anche per i proprietari, e alla lunga un risparmio economico, migliorare la classe energetica della propria abitazione?
«Quanto al risparmio economico, si rischia di essere morti prima di ammortizzare le spese. Quanto ai vantaggi, è ovvio, ma questa direttiva ha il difetto di trattare le case di Palermo come quelle di Oslo. Al solito l’Europa non tiene conto delle differenze climatiche, culturali, architettoniche, strutturali e di vita degli Stati membri. E poi il vincolo di efficentamento prima di vendere o affittare deprezza l’immobile».

Il capogruppo di Forza Italia rivendica al suo partito il merito di cercare di ancorare il sogno verde dell’Europa alla realtà e mette gli ambientalisti in allerta sugli interessi che si possono nascondere dietro le loro battaglie. «Quando prende le sue decisioni, la politica deve avere bene in mente i loro effetti sulle tasche dei cittadini e sulle imprese» spiega Alessandro Cattaneo.

Lei, con Forza Italia, ma con tutto il governo a dire il vero, è sempre stato piuttosto critico sulle pulsioni ultra-ambientaliste dell’Europa. Perché?
«L’obiettivo del raggiungimento di zero emissioni mi sembra ambizioso oltre la realizzabilità, è ideologico pensare di doverlo realizzare solo attraverso le energie rinnovabili. Quel che conta dovrebbe essere il risultato, ovverosia non inquinare, altrimenti si presta il fianco a chi sostiene che ci siano interessi di parte e pressioni internazionali dietro la spinta all’elettrico».

Ha qualcosa contro l’elettrico?
«No, ma non capisco perché la sinistra italiana, per esempio, rifiuti così pervicacemente la soluzione nucleare. Ci sono tematiche, come quella ambientale, che la sinistra finisce sempre per ideologizzare, quando invece dovrebbero essere guardate nella sostanza. L’elettrico ancora oggi ha dei limiti che vanno detti, e non è solo un problema di poche colonnine e scarsa possibilità di rifornimento o di costi maggiori delle auto, ma proprio di inquinamento».

In che senso?
«A parte lo smaltimento delle batterie e il fatto che, nel suo ciclo completo, un’auto elettrica potrebbe inquinare ancora più di una a motore a scoppio, specie se, come sembra, entro il 2035 ci saranno motori a benzina a emissioni quasi zero, biocarburanti e perciò il divieto di produzione imposto dalla Ue diventa inutile per l’ambiente e solo lesivo per l’industria, bisogna vedere anche come produci l’energia. Se lo fai con le centrali a carbone o ancora con il gas, visto che noi non abbiamo il nucleare, non risolvi il problema».

Onorevole, è vero che l’Unione, spingendo a tavoletta sull’auto elettrica, sta facendo gli interessi di qualcuno nascondendosi dietro la scusa della lotta all’inquinamento?
«Non dico questo. Il rispetto dell’ambiente è un tema doveroso, ma è vero che le emissioni delle auto sono solo lo 0,8% del totale e per questo si chiede di rivoluzionare tutta la nostra industria automobilistica. Penso che la politica proceda per scatti in avanti e che a volte mostrare di avere il coraggio di decidere diventi più importante di quello che si decide. E questo non va bene».

Il ministro forzista Pichetto Fratin in Europa ha ottenuto un rinvio della decisione di vietare la produzione di auto a benzina a partire dal 2035 e il vicepremier Salvini ha compattato un fronte di ministri, tra cui quello tedesco, contrari alla norma. Sente odore di retromarcia?
«Potrebbe essere, anche se non va sottovalutato che l’auto elettrica a un certo punto è diventata il rifugio migliore per la finanza mondiale dove mettere grandi liquidità. In questo caso la finanza non ha dettato le regole al mondo, ma viceversa, ha inseguito, investendo masse di denaro, i sogni della politica, tanto che oggi il valore in Borsa di un’azienda è determinato anche da quanto essa venga percepita come “Verde”. Comunque, se non una retromarcia, un rallentamento ci sarà, basta guardare alla Germania».

La Germania è la capofila del rallentamento...
«E questo malgrado a Berlino siano al governo i Verdi, che sono ora i primi a Bruxelles a chiedere di non smantellare l’auto a benzina, visto che i tedeschi, con noi, sarebbero quelli che pagano un prezzo più alto. Peraltro sono anche quelli che hanno riattivato le centrali a carbone. Mi conforta, significa che anche gli ambientalisti, quando governano, fanno prevalere il pragmatismo e tengono conto della complessità delle situazioni. I ragionamenti in politica vanno fatti sulla concretezza anziché sui titoloni e le ideologie estemporanee».

Allude a qualcos’altro?
«Per esempio al salario minimo, cavallo di battaglia della nostra sinistra. Tutti noi siamo d’accordo che in Italia quello degli stipendi bassi sia un problema grave, ma comunque l’80% dei lavoratori è coperto dalla contrattazione collettiva nazionale e nella maggior parte dei casi percepisce più del salario minimo: se lo introduci, rischi di schiacciare i contratti collettivi verso il basso, quindi di riuscire nell’operazione ma ritrovarti il paziente morto».

È tutta colpa di un’eccessiva radicalizzazione della politica, alla quale Forza Italia è da sempre piuttosto estranea?
«La radicalizzazione la vedo soprattutto a sinistra».

Allude all’elezione della Schlein come nuovo segretario del Pd?
«Credo che in Italia stia avvenendo quello che è accaduto in Francia, dove il Partito Socialista, di lunghissima e onorata tradizione, si è di fatto dissolto e la sinistra è stata fagocitata da Mélenchon, che è una sorta di Bertinotti. Ma penso anche agli Stati Uniti con Sanders o alla Gran Bretagna con Corbyn».

In Francia però è spuntato Macron. Significa che Calenda e Renzi hanno un grande futuro davanti?
«Il cosiddetto Centro in Italia ha avuto tanti interpreti ma alla fine non si è mai realizzato. Macron poi è un personaggio e abbiamo visto che di questi tempi sono spesso le leadership a fare la differenza. Calenda non convince del tutto, parla troppo e spesso in contraddizione con se stesso».

Si dice che il governo Meloni durerà perché, se Forza Italia fa le bizze, c’è sempre il Terzo Polo come ruota di scorta...
«Questo è impossibile per due ragioni. La prima è che Forza Italia è un partito estremamente orgoglioso dei propri valori e che dice sempre la sua senza imbarazzi, ma è anche fondamentalmente governista e fedele ai patti, come dimostra il fatto che abbiamo sempre votato con la maggioranza. La seconda è che l’elettore di centrodestra, che in Italia è maggioranza, ha una capacità straordinaria di fiutare l’odore di sinistra sotto qualsiasi travestimento. E il travestimento di Renzi e Calenda non è neppure dei migliori...».

E a sinistra cosa succederà, una guerra senza esclusioni di colpi tra Pd e M5S?
«È vero che quando due partiti insistono su un bacino elettorale simile diventano presto l’uno il peggior nemico dell’altro, ma io credo che alla fine sia più probabile che grillini e dem trovino una sintesi, anche perché il Movimento ha sempre mostrato grandi capacità di adattamento e nessuna schizzinosità nelle alleanze. “Francia o Spagna purché se magna” mi sembra che abbia sostituito lo slogan della scatoletta di tonno».

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