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Anpi, la gaffe del presidente: come smonta la resistenza italiana

Tommaso Lorenzini
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Fanno sorridere quei meme sui social nei quali un furente Ignazio La Russa è ritratto mentre parla al telefono ordinando di modificare il calendario e saltare dal 24 aprile direttamente a maggio, per non aver nulla a che fare con il 25, data che al contrario a sinistra attendono con l’acquolina in bocca, come i bambini col Natale. Salvo scoprire che anche gli stessi compagni, nel giorno della Liberazione, non riescono proprio a non dare il peggio, guidati dal furore ideologico che tracima nella confusione. Lo ha fatto il presidente dell’Associazione partigiani di Viterbo, Enrico Mezzetti, rifiutandosi “democraticamente” di stringere la mano al sottosegretario Vittorio Sgarbi; lo ha fatto il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, che nell’intento di esaltare i partigiani rossi ha invece demolito, in un minuto, ottant’anni di asfissiante retorica sull’importanza avuta dalla Resistenza.

 

SPARAVANO PER ARIA

Nella video-intervista pubblicata dal sito de Il Fatto Quotidiano, Pagliarulo pur di allontanare ogni punto di contatto fra resistenza italiana e ucraina, ribadendo così la propria contrarietà agli aiuti militari a Kiev, incappa in un’autorete epica. «Noi pensiamo, come avevamo detto da un anno, che l’invio delle armi era inopportuno perché inevitabilmente avrebbe portato a una escalation. E l’escalation è andata avanti verso prospettive assolutamente impensabili. Chi mi racconta che anche gli Alleati mandarono le armi ai partigiani fa un paragone del tutto forzato, improprio. Perché tutte le resistenze sono legittime, ma sono tutte diverse. Nessuno può paragonare la resistenza degli afghani contro l’invasione americana (ma non era stata l’Unione Sovietica, nel dicembre 1979, a invadere? ndr), con la resistenza degli ucraini o la resistenza degli iracheni e così via. E poi il paragone con l’Italia non sta in piedi, c’era già la guerra da anni, anzi il problema era che finisse la guerra quando gli Alleati, che erano in guerra, mandavano le armi ai partigiani. Ma che armi mandavano? Gli Sten, le mitragliatrici, qui stiamo mandando carrarmati, fra poco si manderanno aerei da combattimento».

 

 

 

Dunque Pagliarulo (non La Russa) riesce a dare un colpo di spugna alla narrazione che ha elevato i partigiani ad autentici fautori dell’Italia libera (altro che gli angloamericani, i polacchi, i neozelandesi, etc), di fatto spiegando che la Resistenza non è paragonabile a quella ucraina perché, quando i partigiani iniziarono a combattere i nazifascisti, in Italia il conflitto era già agli sgoccioli (in realtà, dall’Armistizio dell’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 non sembra un battito di ciglia...) e la fornitura di armi era stata limitata allo stretto necessario per accelerarne la fine. Riducendo così il ruolo delle brigate che oggi egli rappresenta (senza averne peraltro mai fatto parte, essendo nato nel 1949) a comprimari, gente che aveva fiutato il vento e sparacchiava per aria in attesa che qualcuno finisse di toglier per loro le castagne dal fuoco.

 

TESI ANTI-OCCIDENTALI

Insomma, la Resistenza è stata poco influente per la Liberazione dal momento in cui sono stati i soldati alleati a sporcarsi di fango e sangue, perché loro sì che avevano le armi adatte? Pare il manifesto di qualche anti-comunista, è invece il pensiero del rappresentante dei partigiani il quale, per giustificare le spalle voltate all’Ucraina, di fatto dà una spallata alla stessa ragion d’esistere dell’Anpi. Ma c’è poco da stupirsi. Riguardo al conflitto ucraino, Pagliarulo è da sempre impegnato in un ardito equilibrismo. Giusto un anno fa, sosteneva che l’invasione russa era «moralmente e giuridicamente da condannare e condannata, senza se e senza ma». Il tutto dopo che qualcuno gli aveva chiesto conto della campagna social che lui stesso aveva condotto fra 2014 e 2015 cavalcando le tesi dell’epoca, vale a dire che «il regime di Kiev è illegittimo e nato di fatto da un colpo di Stato foraggiato dagli Usa» (lo scriveva su Facebook). Se Pagliarulo giudica così quello che ha sotto gli occhi, figuriamoci quando parla del 1943, quando non c’era nemmeno...

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